Finito l’anno scolastico, è mancata la vita

L’impegno tra le tante parole sulla scuola. A settembre aspetto come il più bello dei regali che le porte delle aule tornino ad aprirsi per tutti

Negli ultimi due anni di questa rubrica, arrivato a giugno, ho sempre scritto un pezzo in cui provavo a dare qualche consiglio ai ragazzi su come affrontare l’estate, quali romanzi leggere, in che modo recuperare un rapporto tra genitori e figli che magari s’era sfilacciato nella routine dei nove mesi di scuola. Oggi, ultimo giorno di scuola, archiviata con un click l’ultima ora di didattica a distanza, apro il file word e letteralmente non so da che parte iniziare. Resto a lungo in silenzio.

classe studenti adolescenti, scuolaQuesta mattina, prima di accendere il pc, prendendo il caffè, avevo ripassato mentalmente il modo in cui avrei voluto salutare i miei studenti. Aspettavo questa ultima ora da un bel po’, non l’avrei sciupata. Avrei consegnato loro la solita lista di libri e film (anche quest’anno l’ho fatta), gliel’avrei motivata, avrei scherzato un po’ con loro, magari come sul cortile l’anno scorso e anche senza il pallone da pallavolo, avrei chiesto cosa avrebbero fatto, dove sarebbero andati in vacanza. Poi avrei chiesto loro come avevano vissuto questi mesi, ma soprattutto e per la prima volta, mi sarei sbottonato anche io e avrei detto loro come avevo vissuto questi mesi.

videochiamate ragazzi, giovani studenti, smartphoneQuando ci siamo collegati, con la telecamera accesa («è l’ultimo giorno, dai guardiamoci tutti in faccia»), li ho salutati, ho iniziato a leggere la lista dei libri e dei film, ho spiegato il perché delle scelte, ho abbozzato una battuta venuta male. Poi c’ho provato: «Bene, e ora è arrivato il momento di salutarci, cosa sia stato quest’anno lo sappiamo bene tutti. Siete stati bravi e responsabili, anche io ho patito la distanza. Spero davvero che a settembre ci ritroveremo a scuola». Stop. Non sono riuscito più a dire nulla, non siamo più riusciti a dirci nulla o quasi. Qualche saluto, il tono della voce un po’ spezzato, la confusione dei «grazie prof» accavallati, fra questi un «grazie a voi tutti», poi un click e s’è spento tutto.  Sono rimasto quasi sorpreso nel vederli sparire così, in quell’istante, come fosse la prima volta. Alle dodici sul monitor non c’erano più loro ma solo le mie cartelle e i miei file sparpagliati.

Ho messo qualche firma, ho compilato uno dei mille documenti per gli scrutini che ci saranno, mi sono stufato e ho perso tempo in rete. Mentre lo facevo mi sono ritrovato a dirmi che durante questi tre mesi però avevamo lavorato, che avevamo continuato a collegarci, che il filo non s’era spezzato. Me lo dicevo e intanto pigramente scorrevo un quotidiano online, la timeline di Facebook, qualche messaggio su WhatsApp: tutti sembravano stessero parlando di scuola. Ho sentito un bisogno lungo e prolungato di silenzio.

La scuola quest’anno è finita e no, non è vero che tutto sommato è andata bene. Sono mancati i corpi, è mancato lo stare, è mancata la vita. Nonostante tutto, certo, abbiamo lavorato, ci siamo impegnati, ci siamo fatti strada dal basso nella marea montante delle parole a sproposito sulla scuola che hanno quasi annegato questi mesi. Eppure, lo dico sottovoce ma con tutta la speranza possibile che ciò avvenga, io a settembre aspetto come il più bello dei regali che le porte delle aule, quelle vere, le uniche vere, tornino ad aprirsi per tutti.

10 giugno 2020