Festa dei Popoli, Francesco: «Pace è unità nelle diversità»

A San Giovanni il messaggio del Papa nella giornata dedicata ai migranti. Il vescovo Di Tora: «Le diversità devono essere punti di convergenza e dialogo»

A San Giovanni il messaggio del Papa nella giornata dedicata ai migranti. Il vescovo Di Tora: «Le diversità devono essere punti di convergenza e dialogo»

Canti, balli e profumi di cibi speziati hanno riempito piazza San Giovanni in Laterano con la benedizione di Papa Francesco. Domenica 15 maggio uomini e donne di oltre 50 etnie hanno partecipato alla Festa dei Popoli, sul sagrato della cattedrale di Roma. L’evento è organizzato da 25 anni dai missionari Scalabriniani, insieme all’Ufficio diocesano per la Pastorale delle Migrazioni, alla Caritas diocesana e le Acli. Prima della celebrazione della Messa di Pentecoste, presieduta da monsignor Guerino di Tora, ausiliare per il settore Nord e presidente della Commissione Cei per le Migrazioni, è stato letto il messaggio che il Papa ha fatto giungere per l’occasione: «Che questa festa, segno di unità e della diversità delle culture, ci aiuti a capire che il cammino verso la pace è questo: fare l’unità, rispettando le diversità».

Nella giornata intitolata “Misericordia senza confini”, la celebrazione eucaristica nella basilica lateranense ha rispecchiato lo spirito multietnico. Circa 80 sacerdoti di diverse nazionalità hanno concelebrato e 13 cori hanno accompagnato la Messa in altrettante lingue. Tra i concelebranti anche l’arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati, in questi giorni in visita a Roma. Di Tora parlando all’assemblea ha ricordato i migranti: «Come possiamo celebrare la festa di Dio senza di loro? Ed è proprio tra i migranti che vediamo tanti abbandonati in veri campi di detenzione, solo perché sono richiedenti asilo e faticano a trovare i loro diritti…». Il cristianesimo, ha spiegato Di Tora, si è sempre posto in contrapposizione al rifiuto dello straniero: «Le diversità devono essere utilizzate come punti di convergenza e di dialogo».

Le storie della piazza dimostrano che è possibile. Ibdu è scappato dal Senegal. L’Italia, dopo il passaggio in Francia, non è stata una vera scelta: «Volevo salvarmi, sapevo che in Francia mi avrebbero mandato via mentre in Italia avevo una speranza». A gennaio 2016 ha ottenuto lo status di rifugiato e adesso lavora: «Mi piacerebbe studiare, in Senegal studiavo giurisprudenza». Ibdu è una delle 30 persone accolte nella “Casa Scalabrini 634” che ospita famiglie e giovani rifugiati avviando attività di integrazione. In occasione della Festa è stato presentato l’aquilone cucito da loro per raccogliere fondi: «È impossibile cucire il vento, ma se hai forza di volontà niente è impossibile, basta avere la volontà». Il ricavato andrà devoluto ad altre associazioni: «Daremo tutto a chi ha più bisogno di noi» ha concluso Ibdu.

Anche don Joseph Akaashima, cappellano della comunità nigeriana, parla bene della sua esperinaza in Italia: «Ringraziamo il Signore e la diocesi di Roma che ci ha accolto con le braccia spalancate». Tra gli immigrati suoi connazionali, spiega il parroco, quelli «venuti nel modo “sbagliato”», aggiungendo poi «attraverso il mare». Il problema non è l’accoglienza: «Sperano di trovare tutto ma non è così facile, non sempre è facile trovare lavoro», spiega il parroco. La comunità nigeriana, racconta, fa tantissimi sacrifici: «C’è qui un uomo, Patrice, che si alza ogni giorno alle 4 per andare a lavorare in fabbrica. Ha tre figli e deve mantenerli. Ci sono donne che fanno due lavori».

La comunità cattolica albanese, una delle più radicate a Roma, presente dagli anni ’90, oggi sta vivendo un’inversione di tendenza, come spiega la responsabile, Lindita Rretthy, attorniata da giovani in costume tipico: «Mi sento una figlia dell’Italia – racconta – ma oggi chi viene rischia di restare deluso. Tanti stanno tornando indietro, sono attaccati all’Albania e lì hanno più speranza di trovare lavoro». La solidarietà è fondamentale: «La comunità albanese della nostra parrocchia accoglie tutti, aiutiamo tutte le famiglie in difficoltà che vengono da noi. Albanesi ma anche italiane».

L’integrazione così, nonostante i problemi della crisi, a differenza di quanto mostrano le tv, continua. Sul palchetto di fronte a San Giovanni per la prima volta è salita anche la Cina: «La comunità cattolica cinese qui a Roma è piccola – ha spiegato Gabriele Beltrami, addetto stampa degli Scalabriniani – ma questa volta è riuscita a partecipare». Don Joseph è convinto: «L’Italia è un Paese accogliente».

 

 

16 maggio 2016