Fatima, fuggita dalla Cecenia, commossa da Dragoncello

La giovane, mediatrice culturale, vive con la figlia nella parrocchia Santi Cirillo e Metodio, dove si è formata una rete di solidarietà

La giovane, mediatrice culturale, vive con la figlia nella parrocchia Santi Cirillo e Metodio, dove si è formata una rete di solidarietà

Un mazzo di chiavi che stenta a credere suo, della sua casa, e un fiocco di neve che diventa una valanga, ma di amore. In queste due immagini potrebbe essere racchiusa la storia di Fatima, una trentenne russa che nel 2014, scappata dalla Cecenia, ha chiesto asilo politico nel nostro Paese e oggi vive ad Acilia, presso la parrocchia dei Santi Cirillo e Metodio, con la sua bambina appena promossa in seconda elementare. «Ho avuto la fortuna di avvicinarmi alla Caritas – racconta la giovane rifugiata – perché sapevo che mi avrebbero potuto aiutare a trovare un lavoro»: da subito c’è la volontà di darsi da fare e far fruttare le proprie competenze, nello specifico una laurea in Management e organizzazione di eventi culturali conseguita a San Pietroburgo.

Fatima viene inserita nel progetto della Caritas cofinanziato dall’Unione Europea  denominato “Step by step”, che le consente di formarsi come mediatrice culturale; il primo contratto di lavoro arriva poi a settembre del 2016, presso il Cas, Centro di accoglienza stroardinaria, in concomitanza con la possibilità di aderire a un secondo progetto Caritas, “Ero forestiero”, «che con la partecipazione di 38 parrocchie e istituti religiosi dislocati in 12 diversi municipi della Capitale – spiega Teresa, tutor individuale di Fatima – garantisce ospitalità gratuita per un anno a richiedenti asilo e rifugiati». Così Fatima e la sua bambina vengono accolte dalla comunità guidata da don Gregorio Mrowczynski, a Dragoncello: proprio nei locali della canonica, «smantellando uno sgabuzzino e un vecchio ufficio parrocchiale in disuso – spiega il parroco – con l’aiuto di un parrocchiano architetto abbiamo ricavato un mini–appartamento di 36 metri quadri».

Ma l’accoglienza riservata a mamma e figlia non si è limitata agli spazi: sono state le persone a fare la differenza. «Ho visto in tutti, da subito – racconta Fatima, commossa – la voglia e il desiderio di aiutarmi e mi sono sentita più serena e meno sola». Si è formata davvero una rete di solidarietà tra i parrocchiani: c’è chi conserva e dona abiti dismessi dai propri figli per la piccola, chi fornisce materiale di cancelleria per la scuola, chi fa la spesa e chi ha donato mobili o accessori per arredare la casa. Piccoli gesti di accoglienza che Fatima ha visto crescere «come una palla di neve, che più rotola e più diventa grande e forte». In particolare Lia e Raffaele, già genitori di tre ragazzi, hanno preso a cuore, come vice–genitori e vice–nonni, Fatima e la sua bambina dagli occhi blu: «La seguiamo e la consigliamo quando ce lo chiede – spiegano -, sapendo che deve anche camminare sulle sue gambe e costruirsi il suo futuro». Quando Fatima ha bisogno sa di poter contare su di loro: Lia è insegnante presso l’Istituto comprensivo frequentato dalla bambina così, spesso, la porta a casa con sé dopo le lezioni, e la segue nei compiti, specie quando la mamma è fuori città per le trasferte di lavoro. E ci sarà proprio Lia con Fatima e sua figlia, questa sera, 19 giugno, all’incontro con Papa Francesco prima del Convegno ecclesiale diocesano, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato.

19 giugno 2017