“Familiari anonimi”, accanto a chi lotta con la droga

Assemblea nazionale. La proposta del Tavolo dei 12 passi. Don Stortoni: «La Chiesa è vicina a queste famiglie». Don Coluccia: lo spaccio, «uno dei peccati sociali di Roma»

La droga non annienta solo chi ne fa uso ma avvelena l’intera famiglia. Mariti, mogli, figli, fratelli e sorelle iniziano un calvario fatto di bugie, sotterfugi, sensi di colpa, notti insonni alla ricerca del proprio caro in parchi o caseggiati abbandonati. Famiglie di ogni estrazione sociale, residenti in ogni angolo d’Italia. Nata a Roma nel 1986 e riconosciuta legalmente nel 2023, l’associazione Familiari anonimi (Fa) è una realtà aconfessionale consolidata di auto mutuo aiuto che offre conforto, sostegno e accompagnamento a chi ha un familiare con problemi di dipendenza, attraverso il programma dei 12 passi, per la crescita spirituale individuale, e delle 12 tradizioni, regole per il benessere del gruppo.

Sabato 26 e domenica 27 ottobre le fratellanze – così si chiamano i gruppi – si sono ritrovate a Roma, al Seraphicum, per l’assemblea nazionale. Fondamentale garantire l’anonimato assoluto di ciascun membro, identificato unicamente da un nome di battesimo o da uno pseudonimo. Trentasei i gruppi in Italia, tre quelli attivi attualmente a Roma: all’Eur, al Quadraro, a Prati Fiscali; a fine novembre se ne aggiungerà un quarto, a Centocelle. Ogni gruppo si riunisce una volta alla settimana, solitamente in locali parrocchiali, ed è composto da circa 15 familiari.

«Molti programmi di recupero sono disponibili per chi dipende da sostanze stupefacenti quando è pronto a chiedere aiuto per uscire dal tunnel – ha detto Maria, nome di fantasia, segretaria del gruppo Eur -. Familiari anonimi accoglie chi è emotivamente coinvolto. Riteniamo che la tossicodipendenza non sia una questione morale ma una malattia. Quindi lavoriamo su noi stessi per cambiare atteggiamento verso chi fa uso di sostanze. È la cosa più importante che possiamo fare per aiutare i nostri cari. In questo percorso molti imparano un modo migliore di vivere. È un programma spirituale e coraggioso, perché quando si entra a far parte della fratellanza si è disperati e speranzosi di trovare la ricetta per cambiare chi è vittima della dipendenza».

Durante l’assemblea di sabato pomeriggio, sul tema “La dipendenza: una malattia della famiglia. Come può il familiare non ostacolare il recupero del dipendente?”, sono state condivise testimonianze di parenti che hanno mollato le redini e con amorevole distacco, che non significa disinteresse o voltarsi dall’altra parte, lasciano ai propri congiunti la libertà di chiedere aiuto. «Ho fatto di tutto per tenere lontano mio figlio dalla droga – ha raccontato Giuliana -. Mi sono ammalata io. Mio figlio era schiavo della droga, io ero compulsivamente ossessionata dal controllo. Ho capito che la scelta di smettere dipende solo da lui e io devo cambiare atteggiamento».

Figlia di un alcolista e mamma di un tossicodipendente, Chiara ha «vissuto per anni il senso di colpa. Di non essere riuscita a vedere, a capire, a intervenire in tempo. Ma oggi non voglio più essere io la responsabile delle scelte altrui». Ci sono mamme che per il bene dei propri figli e «per salvare quel che resta di una famiglia dilaniata» si vedono costrette a denunciare e a fare arrestare i propri figli, pur consapevoli che potrebbero non riconquistare la loro fiducia. È quello che ha fatto Ginevra, il cui figlio non le vuole ancora parlare. «Non ha ancora capito il mio gesto», ha detto. Storie diverse ma che hanno come comune denominatore la stessa disperazione, la stessa rabbia, lo stesso dolore.

Tra i presenti anche chi ancora fa uso di sostanze, come Daniele, che ora riesce «ad intuire lontanamente» cosa sia stato per i suoi genitori avere un figlio tossicodipendente. Mario ha invece ringraziato la moglie, membro di Fa. «Non mi ha ostacolato – ha detto -. Mi ha fatto capire che la scelta era mia, ma, cosa più importante, non mi ha più giudicato. Non sentirsi sempre sotto accusa è fondamentale».

Da anni la diocesi di Roma ha aperto il “Tavolo dei 12 passi” con sette associazioni, tra le quali Fa, Alcolisti anonimi, Giocatori anonimi, che si riunisce mensilmente. Dell’iniziativa ha parlato don Raoul Stortoni, dell’Ufficio diocesano per la pastorale sanitaria, rimarcando che «la Chiesa è vicina a queste famiglie, le incontra e le accompagna cercando di lenire il peso della solitudine, dell’inadeguatezza e del senso di colpa che a volte le opprime. Come diocesi – ha aggiunto – ci sentiamo responsabili di un percorso di ascolto dal quale parte la cura della relazione. Vogliamo incoraggiare questo cammino comune facendo conoscere il “Tavolo dei 12 passi” anche nelle carceri e negli ospedali per poter raggiungere più persone possibili».

Lo spaccio di droga «è uno dei peccati sociali di Roma – ha commentato don Antonio Coluccia, da anni impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata -. La droga in questa città è democratica e Papa Francesco è l’unico che ha preso una posizione netta contro questa piaga divenuta il cancro di Roma». Tra i partecipanti anche Simona Pichini, direttore del Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità, e Gianluca Cavino per l’assessorato alle Politiche sociali di Roma Capitale, i quali hanno entrambi dato la disponibilità a collaborare con l’associazione per le proprie competenze.

28 ottobre 2024