Famiglie, la povertà dipende da più fattori

Ricerca “Io non mi arrendo”, promossa da L’Albero della Vita e realizzata da Fondazione Zancan. La prima causa di disagio: il lavoro; segue la casa

La ricerca “Io non mi arrendo”, promossa da L’Albero della Vita e realizzata da Fondazione Zancan. La prima causa di disagio: problemi di lavoro; segue la casa

Parlare di povertà ascoltando i poveri: è questo l’approccio semplice ma per molti versi innovativo della ricerca “Io non mi arrendo. Bambini e famiglie in lotta contro la povertà: fragilità e potenziali”, promossa da L’Albero della Vita e realizzata dalla Fondazione Emanuela Zancan, presentata il 27 ottobre a Roma. La voce è quella di 277 famiglie che vivono in condizioni di povertà intervistate in 7 città: Milano, Torino, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Palermo. L’obiettivo è, partendo dall’ascolto, capire in che modo chi è povero affronta i problemi, non solo con gli aiuti che riceve ma anche con le proprie capacità e risorse e, soprattutto, quanto sia disposto ad aiutarsi e aiutare altre persone che vivono la stessa condizione.

Per le famiglie intervistate la prima causa di disagio è legata a problemi di lavoro (9 famiglie su 10). Ma la povertà non dipende mai da un unico fattore: il 56% ha anche problemi di abitativi e il 54% di salute. Ci sono poi problemi con la giustizia (una famiglia su 5) e difficoltà legate al livello di istruzione (una su 6). Alle famiglie è stato anche chiesto il tipo di aiuto che hanno ricevuto e quello ritenuto più utile: quasi tre quarti ricevono, o hanno ricevuto recentemente, contributi economici e oltre 6 su 10 beni materiali di prima necessità. Meno frequente è l’aiuto sotto forma di servizi. Se però si chiede alle famiglie l’utilità degli interventi ricevuti, emerge un quadro differente: gli interventi considerati mediamente più utili sono i servizi (di accoglienza, di orientamento, di sostegno e supporto sociale).

Quanto ai “potenziali generativi”, tre famiglie su quattro si riconoscono almeno una forma di potenziale impiegabile a beneficio della collettività. Per tutti gli intervistati il tema del “fare qualcosa per gli altri”, passa necessariamente attraverso il mettersi in gioco come persona, con il proprio bagaglio di competenze e capacità, attuando  azioni di solidarietà e di condivisione oltre la famiglia stessa. I genitori, infine, hanno trasmesso anche una consapevolezza importante: chi ha figli ha voglia di lottare e sviluppa inaspettate capacità. “Io non mi arrendo”  è il messaggio chiave trasmesso da queste famiglie, e rappresenta il punto di partenza per attuare delle azioni concrete di lotta alla povertà.

«Quando si studia un problema il primo passo è affrontarlo con chi lo vive, lo sperimenta, capisce cosa significa, si chiede come non subirlo e anzi come lottare per superarlo», sottolinea il direttore della Fondazione Emanuela Zancan Tiziano Vecchiato. «Accettare che la povertà possa essere studiata e capita “con i poveri” significa anzitutto accettarli e rispettarli, cioè non trattarli da poveri. Significa riconoscere le loro capacità, valorizzare la loro esperienza, dialogare con la loro competenza. Non è per niente facile visto che richiede il  riconoscimento di un valore proprio e originale che i genitori hanno profondamente e che condividono con i loro figli».

«La nostra esperienza con le famiglie in condizione di povertà e fragilità mostra come solo grazie a spazi di incontro basati su rispetto e impegno reciproco si possa coltivare una relazione di fiducia in una prospettiva pro-attiva – dichiara Ivano Abbruzzi, presidente della Fondazione L’Albero della Vita -.  Non è un caso che le testimonianze positive raccolte riguardino incontri con operatori sociali pronti ad ascoltare e valorizzare le persone, per costruire insieme a loro una risposta adeguata. Questa ricerca dà delle indicazioni fondamentali per riuscire a migliorare le azioni di lotta contro la povertà, ma bisogna partire dall’ascolto delle persone che la combattono ogni giorno».

28 ottobre 2015