Fadlun: raccolto il testimone dai sopravvissuti della Shoah
Intervista al presidente della Comunità ebraica di Roma nell’80° della deportazione degli ebrei romani, il 16 ottobre 1943. «Ore di angoscia per quanto sta accadendo in Israele»
Il “sabato nero”. È l’ottantesimo anniversario di una delle pagine più buie della storia italiana. All’alba del 16 ottobre 1943, appunto uno “shabbat”, i nazifascisti circondarono il ghetto di Roma e nei giorni successivi deportarono 1023 ebrei romani nei campi di sterminio. Solo 16 tornarono vivi da quell’orrore, 15 uomini e un’unica donna, Settimia Spizzichino, a cui oggi è intitolato il ponte all’Ostiense. Molti altri furono arrestati e deportati nelle settimane successive, tanti riuscirono a scampare alla morte grazie all’aiuto di semplici cittadini, come il primario del Fatebenefratelli all’Isola Tiberina, Giovanni Borromeo, che si inventò un inesistente “morbo di K”, e di tanti istituti religiosi che aprirono le loro porte per nascondere i perseguitati, anche a rischio della propria vita. Per fare memoria di quei tragici fatti, il Comune di Roma, insieme alla Comunità ebraica, ha organizzato numerosi eventi, tra cui la Marcia della memoria, in programma per questo pomeriggio, 16 ottobre, alle 17.45, dal Campidoglio al Portico di Ottavia. Un percorso un po’ diverso, rispetto a quello tradizionale che la Comunità di Sant’Egidio promuove da trent’anni, perché l’anniversario coinvolge l’intera città e non a caso vedrà la partecipazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Ma cosa ci trasmette oggi quella pagina nera? «Gli ideali di inclusione e di democrazia che abbiamo con grande sofferenza acquisito, attraverso dolori e guerre, e sono oggi la base, il mattone su cui è costruita questa Repubblica di cui tutti noi facciamo parte», risponde Victor Fadlun, 50 anni, dallo scorso giugno nuovo presidente della Comunità ebraica romana. «Sono conquiste del mondo occidentale, del mondo democratico. Importante è combattere con forza le pulsioni che vorrebbero trascinarci in un nuovo Medioevo».
Faldun, c’è sempre il pericolo che antisemitismo e negazionismo riemergano. Come si contrastano, nel momento in cui gli ultimi sopravvissuti della Shoah, per motivi anagrafici, stanno scomparendo?
In realtà noi siamo i figli dei figli della Shoah. Io personalmente ho tante volte parlato, ho ricevuto un’eredità da parte dei sopravvissuti di quel terribile periodo. Oggi, è vero, ne rimangono pochissimi ma noi abbiamo raccolto il testimone. E poi vediamo un miglioramento, un cambiamento, una presa di coscienza, un’elaborazione già avviata e ancora in atto. Iniziative come quelle del Campidoglio sono di grande importanza in questo senso. Sentiamo l’Italia che ci abbraccia e ci avvolge e siamo orgogliosi di essere cittadini di questo Paese.
Pensavamo di non dover più rivivere gli orrori di quell’epoca e invece è impossibile non pensare a quello che sta succedendo in questi giorni, alle immagini che ci arrivano da Israele. Come sta vivendo la comunità ebraica romana questi momenti così difficili?
Sono ore di grande angoscia. Tutti noi abbiamo persone care, amici o parenti in Israele, perché le nostre famiglie, a seguito delle vicissitudini e delle persecuzioni, si sono frammentate e viviamo in tanti Paesi diversi. Sicuramente le emozioni sono forti. Posso raccontare un episodio personale. Mia cugina mi ha chiamato e mi ha raccontato che i figli piccoli sono in stato di choc in casa. Vivono a trenta chilometri dallo scenario di guerra ma i bambini non riescono più a dormire. Hanno comprato dei chiavistelli da mettere alle porte per farli sentire fittiziamente sicuri. È un orrore e il mondo occidentale deve ergersi solidale a difesa di Israele perché Israele è il baluardo della democrazia in Medio Oriente. Se Israele riuscirà ad autodeterminarsi, vorrà dire che avremo tutti vinto la guerra contro l’orrore e il terrore.
All’indomani dell’attacco di Hamas, Papa Francesco ha lanciato un appello affinché «per favore» tacciano le armi. Qual è il suo commento?
Rispetto a un’autorità religiosa indiscutibile come il Papa non sono certo io a poter fare commenti. Quello che posso dire dal mio punto di vista è che noi siamo i primi a dire “evenu shalom alehem”, la pace sia con noi. È un nostro canto che ci è molto caro. Ma per arrivare alla pace bisogna avere fermezza nel poter autodeterminarsi e difendere la propria cittadinanza inerme.
16 ottobre 2023