«Exodus», spettacolone poco coinvolgente

Addentrandosi nelle 2 ore 30’ emergono pochi appigli per andare al di là della grande macchina commerciale o per segnalare spunti per una riflessione spirituale

Quello «biblico» è da sempre uno dei generi prediletti del cinema americano. È sufficiente ricordare I Dieci comandamenti (1923 e 1956), La tunica (1953), Ben Hur (1959), Il Re dei Re (1961) per capire che si tratta di titoli rimasti nella storia della settima arte e nella memoria dello spettatore, ogni volta pronto a stupirsi di fronte a realizzazioni ogni volta più mirabolanti e sontuose. Il punto di partenza è, naturalmente, la Bibbia, il libro dei libri, un testo che quasi tutti possiedono e hanno letto, e, soprattutto nel mondo anglosassone, vive su declinazioni narrative ampie, dinamiche, libere di muoversi tra realtà e fantasia.

L’argomento offre la misura di quanto ogni generazione abbia voglia di confrontarsi con una propria trasposizione del ciclo biblico, di vederlo, identificarsi con personaggi e luoghi. Ecco allora che da questo fine settimana arriva nelle sale Exodus – Dei e Re, con al centro la vicenda di Mosè contenuta nel libro dell’Esodo. I fatti sono quelli ben conosciuti, mentre in cabina di regia arriva la firma importante di Ridley Scott.

Inglese di nascita, Scott ha una filmografia tanto smisurata quanto eclettica che annovera, tra i tanti, Alien, Blade Runner, Hannibal, Le crociate, Robin Hood. È opportuno citarli, per capire la sua dichiarazione: «Mi piace tutto ciò che è smisurato…». La tendenza al gigantismo, all’eccesso, alla confezione eclatante presente in quei film taglia trasversalmente questo Exodus – Dei e Re.

Se è vero che il succedersi delle azioni conserva presso il pubblico un bagaglio di conoscenze, di memorie, di suggestioni certo profondo, il regista tuttavia non teme di agire in modo da piegare questa materia all’incombere degli effetti speciali e del 3D, questo invero poco incisivo e motivato. La tecnologia finisce per non lasciare il segno, emozioni e visionarietà latitano. Forse è il momento di rimettere in discussione il ruolo degli effetti speciali nell’economia di un copione.

Addentrandosi nelle 2 ore 30’ di durata, si dipana uno spettacolone poco coinvolgente, dentro il quale risulta difficile confrontarsi con l’obiettività della «lettera scritta» o con eccessi, pregi/difetti di una lettura analitico/filosofica. Di certo emergono pochi appigli per andare al di là della grande macchina commerciale o per segnalare passaggi problematici, spunti per una riflessione spirituale. Il paradosso è che ne deriva un’opera così destrutturata ed esteriore da farsi definire semplice, e certo non per i temi che le sono propri ma per il modo in cui li consegna agli appassionati in tutto il mondo.

 

19 gennaio 2015