Garantire il rispetto dei diritti umani. Per il vescovo Álvaro Leonel Ramazzini Imeri, responsabile della pastorale della Mobilità umana per la Conferenza episcopale guatemalteca (Ceg), è questa la priorità da tenere ben presente nel tentativo di gestire l’esodo di massa che si è messo in moto dall’Honduras verso gli Stati Uniti d’America. «È importante che non ci siano casi di violenza», afferma, mentre si reca a Città del Guatemala per fare il punto della situazione. Da ieri, 22 ottobre, per la prima volta dopo oltre una settimana, la presenza di migranti nel Paese è sembrata calare e la situazione, secondo quanto riferiscono i referenti delle Case del migrante, è apparsa più tranquilla. «In molti ormai hanno raggiunto il Messico – riferisce – il presule, dove però, da quanto ci risulta, gli agenti federali stanno cercando di fermare questa ondata».

Secondo alcune stime, sono ormai circa 8mila i migranti presenti in Messico, dopo che sono andati a vuoto i tentativi degli agenti federali di bloccare la carovana. Da parte della Chiesa, assicura Ramazzini, «c’è anzitutto l’accoglienza. Capisco il fatto che i governi devono combinare il rispetto dei diritti dei migranti con quello della sicurezza dei propri cittadini. Devo anche dire, e faccio riferimento ad alcuni articoli apparsi sulla stampa honduregna, che accanto all’importante attività di accoglienza bisogna chiedersi come si è arrivati a questo, cosa è successo perché si scatenasse un’ondata migratoria senza precedenti».

Di «drammatica situazione di esodo» parlano anche i missionari Scalabrianiani, in prima linea accanto ai migranti, in una nota firmata dal superiore della provincia di San Giovanni Battista – che comprende Usa e Canada ovest, Messico, Guatemala ed El Salvador – padre G. Juan Miguel Álvarez. «Noi missionari scalabrianiani – si legge nel testo – esprimiamo profonda preoccupazione e solidarietà evangelica e rivolgiamo un appello a tutte le comunità di fede e alle persone di buona volontà, affinché questa dolorosa situazione possa trasformarsi in un’occasione per celebrare la fraternità universale». Al centro, la consapevolezza della della «dignità intrinseca ci ogni essere umano» e del fatto che anche situazioni così difficili possono volgersi in spazio di speranza. L’avanzare di queste «migliaia di fratelli e sorelle dell’Honduras», scrive ancora padre Álvarez, «ci interpella e ci invita a convertirci con mano tesa e cuore aperto».

23 ottobre 2018