Ermes Ronchi: nella società contemporanea l’innamoramento «è la vera rivoluzione»
Nella parrocchia di San Lino l’incontro con il teologo friulano, organizzato da Casa Betania nell’ambito del progetto “Famiglie e singoli in rete”. L’invito a «smontare il disumano scegliendo sempre l’umano»
Gioia e felicità: questi i termini più pronunciati da padre Ermes Ronchi nel corso dell’incontro “Sentinella, quanto resta della notte? Chiamati alla gioia in tempi di crisi” svoltosi ieri sera, 4 aprile, nella parrocchia San Lino, zona Boccea, organizzato da Casa Betania e associazione “L’accoglienza” nell’ambito del progetto “Famiglie e singoli in rete”. Il teologo, dell’Ordine dei Servi di Maria, ha invitato i riscoprire la felicità in un mondo di buchi neri nel quale si ergono muri, aumenta la violenza, cresce il tasso di disoccupazione, si assiste agli annegamenti in mare e spesso vengono assunte «scelte disumane truccate da bene comune». In una realtà spesso drammatica «è necessario smontare il disumano scegliendo sempre l’umano» e differenziarsi dai «politici che fanno le opere» percorrendo il sentiero dell’agire, l’unico che conduce alla vera gioia. La “ricetta” per vivere felici, alla base della vita di un buon cristiano, è quindi quella di tornare a innamorarsi, senza indossare maschere e senza avere paura. Nella società contemporanea l’innamoramento «è la vera rivoluzione» e padre Ronchi avverte che la felicità di ogni uomo si basa «sul dare e ricevere amore».
Friulano di origine, cresciuto alla scuola di padre Giovanni Vannucci e padre David Maria Turoldo, nel 2016, su incarico di Papa Francesco, ha guidato gli esercizi spirituali alla Curia romana. Nel corso dell’incontro nella parrocchia San Lino, moderato da Gaetano Vallini, giornalista de L’Osservatore Romano, padre Ermes ha ribadito che la vera religione è «quella che fa bene» e bisogna sgombrare il campo dall’idea che il Vangelo «sia contro il piacere. È contrario al piacere che non ha in sé amore come la droga, l’alcolismo, l’accumulo di denaro». Spiegando che la fede non è «un’assicurazione contro gli infortuni» ma la consapevolezza di non essere mai soli durante l’infortunio, il teologo ha ricordato che lo stesso Gesù si “allea” con la gioia umana facendo la sua prima apparizione pubblica alle nozze di Cana, durante le quali “rilancia” la festa.
«Il Dio in cui credo – ha affermato padre Ronchi – è quello delle nozze di Cana: un Dio gioioso, felice, che dona il piacere di vivere, un Dio che preferisce la felicità dei suoi figli alla fedeltà». Uno dei nomi di Dio, ha ricordato, è felicità e la vita di Gesù era bella perché piena di amici e di libertà. Per questo, ha evidenziato il religioso, nella società odierna, spesso caratterizzata da relazioni deboli, chiusa nella «tenaglia del fondamentalismo violento e dell’indifferenza a tutto ciò che è lontano da noi stessi», il cristiano deve rispondere con «la bella notizia del Vangelo che ci sfida nelle Beatitudini, segno di un mondo fatto di pace, giustizia e cuori puri». Nella vita è quindi fondamentale essere «donatori di vita perché l’io narciso è infelice e muore».
Padre Ronchi ha raccontato anche un aneddoto della sua vita, avvenuto qualche tempo fa nella chiesa di San Carlo al Corso a Milano. Un bambino piccolo, entrato in chiesa con la nonna, gli si è avvicinato e gli ha chiesto chi fosse “quell’uomo” sulla Croce. «Mi ha spiazzato – ha detto -: a un bambino che non ha mai sentito parlare di Dio non puoi fornire formule catechistiche. Ho chiuso mentalmente tutti i libri di teologia, mi sono inginocchiato e gli ho detto che è Colui che ha fatto felice il mio cuore, è Gesù. Davanti a quel bambino ho fatto la mia dichiarazione d’amore al Nazareno, lo seguo e credo in Lui perché mi dà la gioia di esistere».
L’incontro, al quale erano presenti numerosi genitori, educatori, volontari di Casa Betania e altre associazioni vicine, è stato arricchito dalle testimonianze di Emanuela e Nino Buscemi dell’associazione “Siloe Famiglia di famiglie” e di Franca Formica di “Csa-Semi di Comunità”. I primi hanno parlato dell’associazione nata nel 2016 su iniziativa di tre famiglie che vivono in uno stabile concesso in comodato d’uso da una congregazione di suore, nel quale ospitano famiglie migranti per due anni. “Csa-Semi di comunità”, invece, rappresenta un nuovo modello di impresa agricola. È una comunità che supporta l’agricoltura e che ha a disposizione 5 ettari di terreno nella zona nord di Roma. I soci perfezionano le coltivazioni e condividono benefici e rischi della produzione.
5 aprile 2019