Ermanno Olmi e il suo cinema come fede e preghiera

Il regista è scomparso nella notte tra il 6 e il 7 maggio. Avrebbe compiuto 87 anni il 24 luglio. È stato cantore della vita, che nel suo racconto ha saputo assumere un aspetto di “verità”

Se ne è andato nella notte tra domenica 6 e lunedì 7 all’età di quasi 87 anni che avrebbe compiuto il 24 luglio. Ermanno Olmi è stato uomo dal carattere forte e robusto, come la sua campagna, quelle terre della  bergamasca che lo avevano accolto da piccolo e nelle quali aveva maturato una salda coscienza di valori e di obiettivi. Sul finire degli anni anni ’50, Olmi trova lavoro presso la Edisonvolta, dove già lavora la madre. È qui che scatta la passione del cinema, sia pure attraverso il punto di passaggio del documentario, strumento di divulgazione e di conoscenza. Questa prima fase di approccio dura fino al 1959, quando Olmi gira il suo primo film “Il tempo si è fermato”, vicenda dell’incontro tra uno studente e il guardiano di una diga, abitato da silenzi ruvidi e sofferti.

Sono però i due titoli successivi, “Il posto” (1961) e “I fidanzati” (1963), a gettare le basi di una poetica successiva, sofferta e segnata da profondo approccio poetico. Da quei titoli che segnano l’incontro del regista con il cinema italiano degli anni Sessanta, la filmografia di Olmi prosegue con bella regolarità fino agli anni Duemila: sono circa 17 titoli da “E venne un  uomo”, dedicato a Giovanni XXIII, (1965) fino a “Vedete, sono uno di voi” (2017), ancora un docufilm dedicato al cardinale Carlo Maria Martini.

È possibile tracciare una parabola della sua carriere attraverso tre film, soprattutto: “Il posto”, appunto, che ruota attorno ai giovani alle prese con la prima occupazione, esemplare per capire certi smarrimenti indotti dal boom economico; “L’albero degli zoccoli” (1978), dove lo scenario si sposta sulla campagna e le sue tradizioni popolari, Palma d’oro al Festival di Cannes in quell’anno; e infine “Toneranno i prati” (2014), sguardo malinconico e doloroso sulle ferite lasciate dalla Grande Guerra, che ha chiesto la perdita di tante, troppe vite umane, soprattutto di giovani.

Olmi è stato dunque cantore della civiltà del lavoro, della religiosità della campagna, della preghiera lontano dalla guerra. La vita insomma, che nel suo cinema ha saputo assumere un aspetto di “verità”. Che spesso nei film non è stato sempre una soluzione automatica. Nel cinema di Olmi invece l’uomo resta al centro della riflessione e della meditazione: l’uomo e la sua presenza al centro del creato, l’uomo fatto a immagine e a somiglianza di Dio.

7 maggio 2018