Ergastolo ostativo: la Consulta fissa il limite per la modifica della norma

Soddisfazione del Forum terzo settore: «Favorire processi di inclusione sociale». “Papa Giovanni XXIII”: «La soluzione è la rieducazione»

Maggio 2022: è il limite fissato dalla Corte costituzionale, nella recente ordinanza, perché il Parlamento italiano provveda a modificare l’attuale norma che impedisce ai detenuti condannati a quello che, attualmente, viene definito “ergastolo ostativo” di accedere a misure alternative. La portavoce del Forum nazionale del terzo settore Claudia Fiaschi lo definisce «un fatto di estrema rilevanza umana e sociale, un concreto passo in avanti verso la reale applicazione dell’articolo 27 della Costituzione, che attribuisce al carcere una funzione di risocializzazione per tutti i detenuti, anche quelli che provengono dalla criminalità organizzata».

Oggi, sottolineano dal Forum, sono oltre 1.200 i detenuti ergastolani che non possono accedere al beneficio della libertà condizionale. Per favorire la diffusione delle pratiche della giustizia riparativa, nel coordinamento nazionale delle realtà del terzo settore è attivo da due anni il gruppo di lavoro “Persone private della libertà”, coordinato da Antonio Turco.
«I comportamenti devianti – sottolinea il referente – si combattono favorendo processi di inclusione sociale e non lasciando a mafia, ‘ndrangheta e camorra la gestione dell’esistenza dei tanti detenuti che, indipendentemente dalla propria condizione giuridica, continuano a sperare in provvedimenti che riconoscano il valore del loro ravvedimento». L’impegno dell’intero terzo settore, assicura ancora Turco, «continuerà a essere volto a promuovere e incentivare azioni e programmi tesi al reinserimento dei detenuti, a cominciare dalla applicazione della legge 147/2014 ancora poco attuata».

Sull’ordinanza della Consulta che sancisce l’incompatibilità dell’ergastolo ostativo con la Costituzione interviene anche il presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII Giovanni Paolo Ramonda, secondo cui «l’ergastolo ostativo è incostituzionale perché disumano in quanto elimina la speranza. Anche gli ergastolani hanno il diritto di dare la prova che sono cambiati. Il problema – aggiunge – non è la durata ma l’efficacia della pena. L’attuale carcere non rieduca, per cui la maggior parte di chi esce di prigione poi torna dentro con pene ancora più pesanti. Pertanto se l’Italia non si dota di un efficace sistema rieducativo come quello che noi applichiamo nelle nostre comunità per carcerati allora non risolverà i problemi del sistema carcerario».

Ramonda ricorda l’impegno del fondatore della Papa Giovanni XXIII, don Oreste Benzi, in questo ambito. «Fu il primo – afferma – a mettersi al fianco degli ergastolani: una persona condannata, diceva don Oreste, deve pagare per i suoi delitti ma può riscattarsi e cambiare vita, perché l’uomo non è il suo errore. Attualmente – prosegue – gestiamo 10 Comunità Educanti con i Carcerati. Seguono un metodo duro, più impegnativo del carcere. Chi lo completa è nella gran parte dei casi una persona nuova, non più un pericolo ma una risorsa per la società. Se questa esperienza funziona perché non promuoverla?». Si tratta di strutture per l’accoglienza di carcerati che scontano la pena, dove i detenuti sono rieducati attraverso esperienze di servizio ai più deboli nelle strutture e nelle cooperative dell’associazione. La prima casa è stata aperta nel 2004. A oggi sono presenti 290 detenuti. Negli ultimi 10 anni sono state accolte 695 persone.

Riguardo all’efficacia, parlano i dati. Per chi esce dal carcere la tendenza a commettere di nuovo dei reati, la cosiddetta recidiva, è pari 75% dei casi; nelle comunità della Papa Giovanni invece, riferiscono, i casi di recidiva sono appena il 15%. Un impegno, quello della realtà fondata da don Benzi per gli ergastolani ostativi, che è iniziato nel 2007. L’8 giugno, esattamente, quando il sacerdote ne incontrò 300, nel carcere di massima sicurezza di Spoleto. Stavano facendo uno sciopero della fame per sensibilizzare sulla loro pena senza speranza, che già chiamavano «pena di morte viva». Uno di loro, ricordano, chiese il supporto del sacerdote. E don Benzi dichiarò: «Si, vi aiutiamo, perché togliere ogni speranza è contro l’uomo e contro Dio». Da allora la Comunità Papa Giovanni XIII iniziò, per prima, una campagna di sensibilizzazione contro il carcere a vita. «Pochi mesi dopo don Oreste salì in cielo ma nel suo ultimo intervento pubblico parlò proprio degli ergastolani. Quel primo ergastolano che interpellò don Oreste Benzi – aggiungono ancora dalla Papa Giovanni XXIII – ora vive e lavora, da quasi 5 anni, in una delle nostre strutture».

19 aprile 2021