Epatite C, l’ambizioso traguardo dell’eradicazione del virus

La data del 2030 fissata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Ecco i rischi della forma che cronicizza in oltre il 70% dei casi. Nella B controllabile solo la replicazione

Il 28 luglio ricorre la Giornata mondiale delle epatiti, malattie virali particolarmente insidiose che colpiscono ogni anno nel mondo circa 325 milioni di persone, la maggior parte delle quali ignora di essere stata contagiata. Certamente, tra le diverse tipologie di epatiti, le più problematiche sono quelle che possono cronicizzare. Si parla di cronicizzazione quando dall’insorgere dell’epatite, l’ipertransaminasemia, ossia la presenza di transaminasi alte, che segnala la presenza di un danno epatico, persiste per più di sei mesi. L’evoluzione di un’epatite cronica è variabile, perché dipende sia dal paziente che dal virus, ma nel tempo, questa condizione può comportare lo sviluppo di cirrosi o dell’epatocarcinoma, il tumore maligno del fegato.

Tra le epatiti che possono portare a queste complicazioni, vi sono la C, che cronicizza in oltre il 70% dei casi, e la B, la cui possibilità di cronicizzazione, invece, dipende dall’età in cui avviene il contagio. Tanto più una persona è giovane quando viene infettata, infatti, maggiori saranno le probabilità di sviluppare un’epatite cronica. Una condizione particolarmente significativa se si pensa che l’epatite B può essere trasmessa, oltre che per via sessuale, anche da madre a figlio. A differenza dell’epatite C, infatti, il cui contagio avviene esclusivamente per via parenterale – quando, cioè, un oggetto, come un ago, un bisturi o un piercing che è stato a contatto con sangue infetto punge o taglia un altro soggetto – l’epatite B può essere contratta anche per via verticale durante la gestazione, quando l’infezione è trasmessa tramite la placenta, al momento del parto o, più raramente, anche in seguito, ad esempio durante l’allattamento se vi sono lesioni alla mucosa orale del bambino.

Fortunatamente, oggi abbiamo a disposizione farmaci, facilmente accessibili, che sono in grado di controllare la replicazione sia del virus C sia di quello B. Nel caso dell’epatite C, il cui virus è costituito da rna ed è quindi particolarmente instabile, una volta bloccata la replicazione virale gli epatociti infetti sono eliminati in qualche settimana, consentendo la guarigione in oltre il 95% dei casi. Si tratta di risultati che hanno permesso all’Organizzazione mondiale della sanità di stabilire come obiettivo per il 2030 l’eradicazione a livello mondiale del virus. Un traguardo molto ambizioso, il cui raggiungimento è però subordinato alla capacità di far emergere il sommerso, ossia di identificare le persone che non sono a conoscenza dell’infezione, un processo in cui, ad esempio, l’Italia è ancora indietro.

Nel caso dell’epatite B, invece, il cui virus è molto più stabile perché costituito da dna, al momento è possibile solo controllare la replicazione, senza garantire la guarigione. Tuttavia, la curva epidemiologica ha comunque subito un brusco calo, merito, in questo caso, del vaccino che è stato reso obbligatorio alla nascita dagli anni ’90 e sviluppato per la prima volta da Baruch Blumberg, biochimico statunitense e premio Nobel, la cui data di nascita, 28 luglio 1925, è adesso un’occasione per mettere in luce queste patologie, le loro complicazioni e gli strumenti disponibili per limitarne la diffusione. (Antonio Picardi, Responsabile UOC di medicina clinica ed epatologia, Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico)

11 luglio 2022