Enrico Ruggeri racconta i suoi «Pezzi di vita»

Il cantautore sarà in concerto lunedì 25 maggio a Parco della Musica, tra inediti e brani storici della sua carriera. Ospiti Pannolino e Mannoia

Il cantautore sarà in concerto lunedì 25 maggio a Parco della Musica, tra inediti e brani storici della sua carriera. Ospiti Pannofino e Mannoia

«In quello che scrivo c’è molto di vero… E mi prendo le mie responsabilità collettive/ io non sono la stella che scappa/ qui non c’è l’officiante che scrive/ sono un uomo che cerca, che vive, che parla di te». Ecco l’autoritratto, affidato al brano di apertura del nuovo album di Enrico Ruggeri, uno dei cantautori meno scontati della nostra storia musicale. A dire il vero, Ruggeri è uno che la storia l’ha precorsa e rispettata, iniziando dal punk negli anni Settanta e arrivando ai giorni nostri con sonorità che non sono omologate alle mode e condizionate dal mercato, ma solo frutto della sua vena creativa. Ed è anche – e per questo – uno con cui si può parlare di coerenza artistica senza timor di smentita.

Ce ne accorgiamo ascoltando il suo ultimo lavoro discografico, trentunesimo della sua lunga carriera, un doppio album pubblicato il mese scorso contenente 24 canzoni, in cui il cantautore entra nel vivo dei problemi del mondo di oggi quasi fosse un osservatorio sociale.

La prima parte di «Pezzi di vita», questo il titolo dell’ultimo album, si compone di 10 inediti in cui oltre ai testi, trova grande spazio la musica suonata, all’insegna di un vero e proprio “rock d’autore”. L’incipit è affidato a un brano manifesto: “Sono io quello per strada”, una risposta a certi cantautori abituati a creare una barriera tra sé e il pubblico, senza prendersi la responsabilità di quello che scrivono. Si prosegue con il punk “sociale” e a tratti beffardo di “Fatti rispettare” e “Hai ragione!” – una serie di considerazioni in musica che vanno dai reati di opinione all’immigrazione clandestina, poi con lo sguardo propositivo ai ragazzi di “Centri commerciali”, singolo attualmente in rotazione radiofonica, e “Il treno del nord” per giungere alla causticità de “Il Re Lucertola” e all’epica “La statua senza nome”. Commuove “Tre Signori”, brano dedicato a tre grandi personalità della cultura italiana: Giorgio Gaber, Enzo Iannacci e Giorgio Faletti già ascoltato fuori gara all’ultimo Festival di Sanremo e sull’onda un po’ struggente anche “Pezzi di vita” e “Perdersi nel tempo”.

Nel secondo album il cantautore reinterpreta in una nuova chiave musicale 14 dei suoi primi brani che hanno segnato la sua carriera negli anni Ottanta. Da “Contessa” e “Vivo da Re”, che hanno creato il mito-Decibel a “Polvere”, passando per “Il mare d’inverno”, portata al successo da Loredana Bertè, che lo impose come autore per i colleghi, “Nuovo swing”,Poco più di niente” e “Il futuro è un’ipotesi”, vere e proprie “perle” ancora molto godibili.

In questi giorni il cantatore milanese è impegnato in una tournée teatrale per presentare dal vivo le sue hit più celebri del periodo ‘80/’85 e i nuovi brani e farà la sua tappa finale a Roma il 25 maggio, all’Auditorium Parco della Musica. Un “live” anche con il pubblico: Ruggeri infatti risponderà alle domande che chi vorrà gli farà pervenire in camerino prima dello show. Il concerto si trasformerà così in un happening diverso ogni sera, come sempre accade con un tipo come lui.

Sul palco Ruggeri sarà accompagnato dalla sua storica band: Luigi Schiavone (chitarra), Fabrizio Palermo (basso e tastiere), Francesco Luppi (pianoforte e tastiere) e Marco Orsi (batteria), che lo ha accompagnato per tutta la tournée teatrale. Noi lo abbiamo intercettato tra una tappa e l’altra per parlare dell’album e condividere con lui “pezzi di vita”.

Ascoltando i dieci brani inediti, più che “Pezzi di vita” tuoi, si ha l’impressione che tu voglia parlare della vita degli altri, in particolare quella dei giovani. Come mai questa scelta?

Intanto perché, ahimè, il periodo si presta, perché stanno succedendo un sacco di cose, abbiamo assistito ad una svolta epocale. È la prima volta che una generazione consegna alla successiva un mondo peggiore. Per secoli era sempre andato un po’ a migliorare, di generazione in generazione, ma ora abbiamo invertito la tendenza. Conosco e vedo tanti ragazzi, ci parlo ai concerti, ci sono i miei figli, i figli degli amici e tutti hanno il terrore che le cose belle succedano solo agli altri, che ce la facciano sempre i soliti, che sia un mondo ingiusto, troppo competitivo, troppo “sgomitante”, e per contro, hanno la tendenza a chiudersi in se stessi, a dire “tanto non ce la farò mai”. Un po’ di rassegnazione, insomma, che scaturisce dalla rabbia, che può essere un motore o un freno, dipende da come la vivi. Io sulla parola “rabbia” ci ho costruito tutto il mio passato. Ero arrabbiato, mi sembrava sempre tutto sbagliato, tutto ingiusto. È una sensazione che hanno tutti i ragazzi quando hanno 20 anni. Quindi mi è venuto naturale affrontare certi temi.

E poi ci sono i giovani della lunga prigionia nei “Centri commerciali”…

Il discorso si collega. Molti ragazzi passano il tempo a lamentarsi, e lo fanno ritrovandosi nei centri commerciali, che sono un po’ i nuovi oratori. Alla mia epoca, o scendevi in strada a giocare, o andavi all’oratorio, li trovavi di sicuro lì gli amici, senza bisogno di WhathsApp. Oggi i ragazzi si ritrovano invece nei centri commerciali, se ne stanno tutti con lo smartphone in mano, hanno l’atteggiamento un po’passivo di chi aspetta la fine della giornata e non si rendono conto che se aspetti, intanto ci sarà qualcuno che prenderà il tuo posto da qualche parte.

A quali “pezzi di vita” sei più legato?

Dal punto di vista della soddisfazione personale, della creatività, della vivacità di pensiero, agli ultimi 7/8 anni, in cui mi sono un po’ sbloccato e ho cominciato a fare tante cose, a fare tv, scrivere libri, ora faccio la radio, oltre a dischi e concerti. Negli anni dei primi successi, ero molto giovane, ma ero stordito, mi sembrava sempre tutto dovuto. Ricordo quelli prima del successo come anni romanticamente avventurosi, ma poi per 15/20 anni ho lasciato che le cose accadessero. Mi godo di più questi ultimi anni. Non mi piace usare la parola “maturità”, ma infondo, di questo si tratta.

In “Hai ragione” sei “contro i reati di opinione”. Che idea hai del clima ideologizzato che viviamo in questo periodo?

Viviamo in un clima molto teso, nervoso, incattivito. Recentemente ho scritto un post su Twitter in cui dicevo che trovavo assurdo che uno come Leopoldo Mastelloni, che ha fatto la storia del teatro degli ultimi 40 anni, prendesse 600 euro al mese di pensione e ho ricevuto tante risposte arrabbiate, tanti attacchi da gente che diceva cose tipo: “Vi difendete solo tra di voi”, o “Mia nonna prende uguale ma non è famosa”. Io non volevo entrare nel merito dei contributi versati, mi ha sorpreso solo questa violenza, questa esasperazione. Come nel caso del post su Facebook di Gianni Morandi che paragonava gli arrivi dei migranti di oggi a quelli dei nostri antenati in America. Io ho scritto un messaggio pacato per dire che il paragone mi sembrava azzardato, quindi una cosa opposta. Ma, entrambi abbiamo ricevuto attacchi per le cose espresse. Tutti incattiviti. Siamo in un clima di conflitto, non si riesce più a discutere pacatamente. Lo abbiamo imparato dai nostri politici e siamo diventati così anche noi.

Invece, dagli anni Settanta, quando hai iniziato, ad oggi, com’è cambiata in meglio e in peggio la musica italiana?

Il problema è che quando io ho iniziato le case discografiche erano molto ricche, avevano un sacco di dipendenti e la possibilità di investire sui nuovi talenti e i nuovi talenti erano Battiato, Fossati, De Gregori, Vasco Rossi, Ligabue, più tardi Vinicio Capossela, gente che dura da 20, 30 o 40 anni. Oggi non ci sono soldi e si va un tanto al chilo, ma così non ci sono le basi per far durare un artista 30 anni. La crisi porta al timore di non piacere, prima c’era più libertà, non ci importava di non piacere, chiedevamo al pubblico di avere un po’ di pazienza per abituarsi alla nostra musica. Oggi i pezzi sono tutti uguali, i testi il più innocui possibile, non prendono posizioni, per piacere a tutti. Si punta al consenso immediato.

Come sta andando l’idea di farti fare domande dal pubblico durante i concerti? Che ti chiedono?

È un modo per interagire, per avere un contatto, a volte lo faccio, altre no, altre ancora scendo direttamente tra il pubblico. Quando ci sono le domande, oltre ai brani preferiti, mi chiedono anche sull’attualità, sulla politica. Le persone che vengono ai miei concerti sono in linea con me, sono persone che stimo, con cui è piacevole chiacchierare. L’ho scritto anche nella canzone “Sono io quello per strada” che apre l’album.

E per l’ultima tappa a Roma ci saranno altre novità?

Ci saranno due ospiti, Francesco Pannofino, che sta preparando un album e faremo qualche anticipazione oltre che cantare insieme il brano “Hai ragione”, che abbiamo fatto anche il 1 maggio a piazza San Giovanni, e ci divertiremo un po’ sul palco. E poi ci sarà Fiorella Mannoia, non abbiamo ancora deciso cosa cantare, ma abbiamo solo l’imbarazzo della scelta.

 

15 maggio 2015