Emanuele Di Porto, salvato dal nazismo. La sua storia in una graphic novel

12 anni al momento del rastrellamento del ghetto di Roma, messo in salvo dalla mamma e protetto da tranvieri e bigliettai, ai ragazzi dice: «Ricordatevi della mia storia quando sarete a terra». La pubblicazione con la prefazione del presidente Mattarella

Emanuele Di Porto aveva 12 anni quando, quella mattina del 16 ottobre 1943, un reparto scelto delle SS tedesche operò il rastrellamento al ghetto di Roma, deportando 1.024 persone di religione ebraica, tra uomini, donne e bambini. Oggi ne ha 93, non ha perso la «gioia di vivere», come sottolinea lui stesso con orgoglio, e la sua storia è diventata una graphic novel dal titolo “16 ottobre 1943. Storia di Emanuele che sfuggì al nazismo” (Mondadori), a cura di Ernesto Anderle, dello stesso Di Porto e di Marco Caviglia, con tanto di prefazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Storia che Emanuele ha raccontato ieri, 31 gennaio, agli studenti delle scuole medie “Giuseppe Mazzini” e “Padre Semeria” che erano presenti alla Feltrinelli di via Appia, a Roma. Un appuntamento organizzato da Feltrinelli Librerie nell’ambito di un ciclo di incontri in diverse città italiane per le celebrazioni per il Giorno della memoria attraverso testimonianze e letture. Il momento è stato guidato da Marco Caviglia, curatore del progetto editoriale e responsabile della didattica della Fondazione Museo della Shoah, che ha aiutato i ragazzi a orientarsi dal punto di vista storico.

Emanuele è cresciuto in via della Reginella in una casa piuttosto affollata. Con i genitori – Virginia Piazza e Settimio di Porto – vivevano i sei figli, le tre zie e i cugini. Venti persone in una sola palazzina. «Quella mattina mia madre si svegliò alle cinque perché sentì dei rumori. Erano i tedeschi che avevano cominciato il rastrellamento – racconta -. Mio padre non era in casa, usciva di notte per andare a lavorare come venditore ambulante alla stazione Termini». E così Virginia, convinta che a rischiare l’arresto fossero solo gli uomini, si vestì in fretta e andò dal marito per avvisarlo. «A Testaccio viveva una sorella di mia madre – spiega Emanuele -. Papà si andò a nascondere lì».

Durante il ritorno, però, «mia madre fu arrestata e caricata su un camion», racconta ancora Di Porto, che vedendo la scena dalla finestra decise di scendere. «Mi ero messo in testa che dovevo salvarla, ma lei mi faceva cenno di andarmene. Un soldato a quel punto mi afferrò e fece salire anche me». Virginia, però, avendo capito tutto, spinse il figlio e riuscì a farlo scendere. «Mamma mi ha messo al mondo due volte, quando mi ha partorito e quando mi ha salvato dal camion», sottolinea Di Porto con gli occhi lucidi. Emanuele così, con la madre che continuava a intimargli di andarsene, si allontanò dal ghetto titubante. Fu l’ultima volta che la vide. Morì nelle camere a gas.

«Arrivai a piazza Monte Savello, dove c’era il capolinea del tram. Salii sul primo e dissi al bigliettaio: “Sono ebreo, mi stanno cercando i tedeschi” – racconta Di Porto -. L’uomo mi fece sedere vicino a lui e mi offrì anche metà della sua merenda, una ciriola con la frittata. E al cambio del turno si raccomandò con il collega di badare a me». Emanuele rimase per due giorni e per due notti in quel tram, protetto dai bigliettai e dai tranvieri. Fino a che non entrò casualmente un amico di suo padre. «Mi riconobbe e mi portò da lui. Papà si mise a piangere non appena mi vide. Cadde in depressione e così cominciai a prendermi cura io della famiglia, racimolando soldi con la compravendita». Non furono anni semplici, complicati anche dalle retate dei fascisti, durante le quali fu deportato lo zio di Emanuele, che, come sua madre, non tornò più. La mattina del 4 giugno del 1944, però, gli alleati entrarono a Roma. «La gente era euforica, gli americani lanciavano cioccolate e caramelle. Io andai a piazza Venezia e sotto il balcone di Mussolini gridai: “Sono ebreo, sono ebreo!”. Finalmente potevo non avere paura».

Da ultimo, un messaggio. «A tutti i giovani che leggeranno questo romanzo a fumetti voglio dire un’unica cosa – conclude Emanuele -: la vita mi ha insegnato a non arrendermi mai davanti alle difficoltà, per quanto esse possano sembrare insuperabili. Ricordatevi della mia storia quando sarete a terra. Vi auguro di trovare la forza di rialzarvi con le vostre gambe, proprio come faccio io da quando ho dodici anni».

1° febbraio 2024