Edith Bruck: «Rispettare ogni essere umano»

Inaugurato al Ghetto un nuovo murale di Palombo dedicato alla scrittrice di origine ungherese sopravvissuta ai campi di sterminio. «Raccontare, un dovere morale. Non smetterò mai di farlo»

Ha voluto stare in piedi accanto al murale a lei dedicato e svelato ieri, 7 aprile, all’esterno della Casina dei Vallati, sede del Museo della Shoah, nel quartiere del Ghetto ebraico. Nonostante i suoi 93 anni e una recente caduta domestica che ha compromesso la sua stabilità fisica, Edith Bruck, scrittrice di origine ungherese sopravvissuta ai campi di concentramento di Auschwitz, Dachau e Bergen-Belsen, è determinata a «esserci per testimoniare e raccontare» perché «è un dovere morale e non finirò mai di farlo».

Il suo sguardo è sicuro e fiero come quello ritratto nell’opera “The Star of David” dall’artista aleXsandro Palombo, che la vede stringere la bandiera di Israele sulle spalle accanto a Liliana Segre e Sami Modiano con indosso la divisa dei campi di concentramento e un giubbotto antiproiettile, rappresentati dal medesimo artista in “Anti-Semitism, History Repeating”, opera già  acquisita e svelata lo scorso gennaio. Dapprima esposto a Milano e vandalizzato a pochi giorni dalla Giornata della memoria, il murale è stato accolto e riposizionato a largo 16 ottobre 1943 quale «segno di lotta contro l’antisemitismo», ha dichiarato Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah. Anche per Victor Fadlun, presidente della Comunità ebraica di Roma, lo sfregio all’opera «diretto al volto di Edith è un attacco mirato alla nostra storia e alla Shoah» e per questo «non si tratta tanto o solo di celebrare e ricordare ma di decidere da che parte stare». Dello stesso avviso Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, che ha parlato dell’opera come di «una scelta politica forte» laddove «chi cerca di sfregiare la memoria mette a rischio sé stesso rispetto ciò che potrebbe accadere in futuro», e pure Jonathan Peled, ambasciatore d’Israele in Italia, che ha osservato l’importanza di «essere qui insieme nonostante l’odio e l’antisemitismo».

Rispondendo alle domande poste non dai giornalisti ma da giovani studenti dei licei e delle università di Roma, quelli che Edith Bruck incontra «da 60 anni nelle scuole sia in presenza che attraverso i collegamenti online», la scrittrice e poetessa ha parlato di «quel dolore e quel veleno che una volta liberata sentivo dentro, incontenibile», e che «nessun orecchio umano poteva ascoltare» mentre «la carta sopporta tutto e così ho iniziato a scrivere». Il primo libro, “Chi ti ama così”, è stato pubblicato in Italia nel 1959; l’ultimo, “La donna dal cappotto verde”, è uscito lo scorso gennaio, e tutti sono per lei, ha confessato, «come i miei figli, perché li ho scritti tenendo il quaderno appoggiato sulla mia pancia» e, più di tutto, con l’obiettivo di «tramandare e lasciare traccia e memoria di quanto accaduto, che a volte a scuola ancora si studia poco e male».

Scrivere, ha spiegato ancora Bruck, «non mi ha aiutata tanto a liberarmi dal passato» perché «si tratta di un passato che non si fa dimenticare e che non voglio dimenticare. Non voglio dimenticare nemmeno un giorno né un minuto di quello che ho vissuto e non per masochismo ma perché non si deve dimenticare il passato affinché non si ripeta mai e non accada mai a nessuno quello che ho vissuto io», ha detto con forza. Interrogata sulla sua reazione di fronte al negazionismo, la sopravvissuta lo ha definito «un dramma terribile, che si diffuse soprattutto negli anni ’80». Un dramma a cui «Primo Levi, con cui avevo parlato 4 giorni prima che si suicidasse, non ha retto» perché «non sopportava l’idea che non ci credessero mentre ancora eravamo vivi e pensava a quello che sarebbe successo una volta che i sopravvissuti fossero venuti meno».

Per Bruck è però necessario, nonostante tutto il dolore e lo sconforto, «andare avanti poiché non si può tacere, perché non c’è e non ci sarà mai al mondo un’altra Shoah, che è stato un evento unico». A questo proposito, nel sottolineare da un lato «il bel rapporto con Papa Francesco, che viene nella mia casa e che sento al telefono», Bruck ha ammesso di «avergli contestato l’idea di indagare per un genocidio a Gaza», mettendo in luce che «tutte le mostruosità ci riguardano ma non va dimenticato quanto successo perché se l’uomo rimuove, tutto si ripete e il problema è che ci stiamo abituando al male». Invece, ha sottolineato ancora, «basterebbe rispettare ogni essere umano» laddove «la vita di ognuno è preziosa ed è sbagliato quando si dice “Prima gli italiani”: no, “Prima tutti”», ha affermato. In conclusione, il monito a non covare odio né vendetta, come lei che è «tornata dai campi senza una goccia d’odio», per questo «dico oggi che anche il mio cuore è una Porta Santa».

8 aprile 2025