Ecco la nostra Roma!

Ottobre 1978, l’elezione di Giovanni Paolo II al soglio pontificio raccontata sulle pagine di Roma Sette. Le prime parole al vicario Poletti

«Ecco la nostra Roma!» disse allargando le braccia nel gesto della fraternità, Giovanni Paolo II al cardinale Ugo Poletti, il suo Vicario Generale per la diocesi di Roma, mentre si inginocchiava nel rito dell’obbedienza, dopo l’arcivescovo di Nairobi, il cardinale Otunga. «Ecco la nostra Roma» e gli sussurrava amabilmente, con la parola pacata, avrebbe dovuto parlare a lungo con lui per conoscere meglio Roma, per studiarne i bisogni e i modi di alleviarli.

Si stava allora costruendo sulla piazza, come non mai articolata di stupende coreografie internazionali, quella processione verso il trono papale dei 125 cardinali, degna di essere dipinta da un Beato Angelico (e che la telemondo ha irradiato in caselli di primi piani d’altissima umanità), che per quasi due ore ha reso evidente la dimensione universale della Chiesa, insieme alla varietà dei tipi e dei riti, alla carità dei rapporti, alla verità d’una gerarchia, improvvisamente imposta e divinamente accolta.

Giovanni Paolo II si è rivolto come un fiore alpestre, dai riflessi magnetici e dal cuore splendente. Roma che gli si estendeva, immensa e festante, faceva tutt’uno col mondo intero e mai si sentiva se stessa come in quel momento, che un Pastore venuto come Pietro «da lontano», parlando e dialogando con «parti, medi elamiti» e via via fino agli ebrei, agli arabi, agli «stranieri di Roma», convocati dallo stesso Spirito (Atti degli Ap. 2,8) la riconsacrava centro del mistero della Chiesa, richiamo, anzi appello, implorazione universale al significato di salvezza che Cristo semprevivo ha in serbo per l’umanità. Questo il succo del robusto discorso di papa Giovanni Paolo II in quella intramontabile giornata. Pietro e Roma sono apparsi nel cielo – fattosi miracolosamente limpido – di Roma, come in quello della storia, come in quello della teologia, distinti e complementari per il binomio cristiano fondamentale.

«Oggi e da questo luogo», ha ripetuto il Papa, l’arcana affermazione di fede di S. Pietro «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», diventa l’affermazione della Chiesa: e tutti sono chiamati ad accoglierla «quelli che hanno la inestimabile ventura di credere», «quelli che cercano Dio», e «quelli che sono ancora tormentati dal dubbio».

«Oggi e da questo luogo», il nuovo vescovo si sente, come Pietro, guidato a Roma dall’obbedienza all’ispirazione del Signore. Come Pietro, anche se volesse per timore delle incombenti persecuzioni o trepidando perché «consapevole della sua indegnità», non potrà più abbandonare la sua sede e la sua cattedra romana (e papa Wojtyla ha ricordato l’episodio sulla via Appia narrato dal suo grande conterraneo Henryk Sienkiewicz). Come Pietro il nuovo Papa non è romano, «ma da questo momento diventa pure lui romano»; anche la nazione da cui proviene è una testimonianza, secolare e sofferente di romanità.

Questa trama di riflessioni ha per commento un solo sospiro dell’anima: «Oh è inscrutabile il disegno della Divina Provvidenza!». Ma è con questa fiducia superiore che Papa Giovanni Paolo II, Papa non romano, che Roma – dopo il primo momento di perplessità – ha sentito subito e appieno suo, si è inserito nella famiglia di Dio che lo ha preminentemente Pastore. Per ora, Roma gli ha potuto offrire solo l’immagine grandiosa della più bella piazza del mondo, gremita di popolo in festa; domani gli offrirà le sofferenze e le carenze di una città malata di se stessa. Ne invocherà una presenza non solo onoraria o vicaria o accessoria e neppure distaccatamente benefica, ma una presenza personale, diretta, coinvolta nell’asperità d’un difficile impatto, come segno di comunione e di certezza sovrana.

Roma ormai è questa nuova patria, dove tutte le patrie si fondano e si illuminano; da cui tutti i popoli attendono la «parola» per un cammino migliore; dove la lotta sui vati fronti dello spirito infuria, sorda e devastatrice, solo momentaneamente elusa da questi giorni di grazia; e dove la venuta di un Pastore, allenato al dibattito e al dialogo, forte della sicurezza che gli viene dal suo Signore, è sostanza indivisibile della sua missione storica. Un’intervista, che oggi pubblichiamo, ai pellegrini polacchi, sottolinea la facilità, il candore e la fiducia dell’incontro di Papa Wojtyla col popolo; anzi di un «sinodo pastorale» che egli stava instaurando a Cracovia.

Il Cardinale Vicario ha programmato per Roma un anno pastorale,che ne affronti capillarmente i bisogni. Giovanni Paolo II non avrà difficoltà a presentarsi come un Maestro. (Elio Venier)

29 ottobre 1978