Ebola: Italia attrezzata per gli aiuti, nessun rischio dagli arrivi sui barconi

Parla Fernando Aiuti, professore ordinario di Medicina interna alla Sapienza, specialista in malattie infettive e immunologia clinica: il rischio di contagio maggiore negli aeroporti e per il personale di assistenza
L’Italia è un Paese “attrezzato” contro l’Ebola, soprattutto in grandi centri «come Milano e Roma», anche se dovesse succedere qualcosa in altre città «potrebbero esserci problemi». Fernando Aiuti è professore ordinario di Medicina interna, direttore e docente della Scuola di specializzazione in allergologia e immunologia clinica, coordinatore del dottorato di ricerche in Scienze delle terapie immunologiche presso la Sapienza Università di Roma, specialista in Malattie infettive e Cardiologia e libero docente in Malattie infettive e in Immunologia clinica. Insomma se c’è da parlare di Ebola e dei rischi annessi, Aiuti è uno degli esperti che può dire la sua.

«Le grandi città hanno grandi aeroporti e grandi centri dove intervenire – spiega all’agenzia Dire -. Prendiamo ad esempio Roma, dove lo Spallanzani, il Gemelli e l’Umberto I hanno attrezzature adeguate per l’isolamento». Il ministero, comunque, sottolinea Aiuti, «con lo stanziamento di 50 milioni euro ha voluto intendere una maggiore e capillare iniziativa per gli altri ospedali italiani».

Aiuti ha poi individuato nel «personale di assistenza» quello maggiormente «a rischio contagio. È già successo negli Stati Uniti, dove sono stati commessi degli errori. A rischio è il personale di assistenza di tutto il mondo». Ebola è un virus a forte rischio contagio «per via della sua concentrazione, molto forte, molto elevata. Nella persona malata si replica anche nella secrezione, nelle urine. Come pure nella mucosa respiratoria. Se una persona ha un colpo di tosse, un grumo finisce negli occhi, nella mucosa orale di un’altra che lo assiste, il contagio è probabile. Ma anche se tocca con mano e poi se la mette in bocca o negli occhi».

L’immunologo conferma come il rischio di contagio maggiore possa avvenire tra persone che transitano negli aeroporti piuttosto che tra gli immigrati che arrivano, ad esempio, nelle coste siciliane per i cosiddetti “viaggi della speranza”: «Ma certe misure di prevenzione, e qui sono critico, vanno prese anche nei nostri aeroporti anche se da noi non c’è un volo diretto con i Paesi contagiati. Qualcuno potrebbe partire da lì, andare magari a Parigi o a Londra e poi dopo qualche giorno venire in Italia».

Continua Aiuti: «È importante considerare i passeggeri “indiretti”: devono dichiarare negli ultimi 20 giorni dove sono stati, perché l’incubazione prima della febbre dura appunta una ventina di giorni. La paura dei siciliani? Non devono averne, è più difficile che lì arrivi il contagio perché i viaggi possono durare anche mesi; l’ebola “arriva” prima. In aereo, invece, eventuali contagiati possono stare alcune ore, quindi è giusto controllare loro la temperatura». L’immunologo, poi, risponde anche a Beppe Grillo: «Controllare gli immigrati? Premesso che io lo dico da anni, una visita non servirebbe a nulla. Vanno fatti dei veri e propri esami, serve un protocollo apposta. Purtroppo se la persona interessata si rifiuta, può anche non sottoporsi ad alcun esame. In queste emergenze sono più medico che umanista».

In questi giorni, soprattutto a Roma, si stanno susseguendo casi che confermano come sia in atto una vera e propria psicosi: l’ultimo quello di una piccola allieva di una scuola di Fiumicino che mamme di altri compagni non volevano entrasse in classe perché’ era stata alcuni giorni in vacanza in Uganda. «Ma questi sono casi da condannare – spiega Aiuti -. Non c’è alcun rischio. Rivivo i tempi in cui dovevo fare campagne di informazione nelle scuole per l’Aids, con bambini cacciati o non accettati a scuola. Dovevo fare informazione perché minori nomadi o stranieri o sieropositivi venivano rifiutati. È una paura immotivata. Sono cose ridicole».

Per il futuro Aiuti è abbastanza ottimista. «Nel giro di 3-4 mesi, secondo gli esperti, l’epidemia sarà contenuta e non uscirà dall’Africa anche se nel breve, fino a dicembre, ci sarà un aumento di casi. La soluzione sarà intervenire lì, nei Paesi contagiati. Bisogna bloccarla, mandando aiuti. Se si limita lì, l’epidemia non si diffonde. Ma bisogna organizzarsi: un ricambio di una tuta con maschera da isolamento costa 20 dollari che per noi è una cifra contenibile, ma sul posto ci camperebbero 10 persone per un giorno».

24 ottobre 2014