Ebola in Congo. Perché questa volta l’epidemia fa più paura

Giorgia Girometti, di Medici senza frontiere: «Le persone si spostano più facilmente e questo potrebbe far propagare il virus». Già 26 morti dall’inizio dell’epidemia

L’epidemia del virus Ebola in Congo inizia a preoccupare seriamente, potrebbe infatti allargarsi anche alle grandi città. Dall’inizio del contagio, due settimane fa (9 maggio) sono già 26 le persone decedute. Secondo l’ultimo bollettino medico del ministero della Salute (datato 21 maggio) 58 sono i casi di persone che presentano i sintomi della febbre emorragica, a 28 di questi è stato diagnosticato il virus Ebola, 21 sono invece casi probabili e 9 i sospetti. 514 sono infine le persone, che potrebbero essere entrate in contatto con soggetti infetti.

Il focolaio è intorno al lago Tumba
e le città di Bikoro e Mbandaka. «Non è la prima volta che c’è un’epidemia di Ebola in Congo: già lo scorso anno erano stati registrati 8 casi. Nel 2014 nella stessa regione equatoriale c’erano stati 70 casi e 20 morti. Ma questa volta potrebbe essere diverso – spiega a Redattore sociale Giorgia Girometti, responsabile comunicazione di Medici senza Frontiere in Congo -, a preoccupare è la vicinanza con il fiume Congo: i casi rilevati a Mbandaka, che è una città portuale, fanno temere perché da lì le persone possono facilmente spostarsi a Kinshasa o in altre grandi città. Questo potrebbe far propagare ulteriormente il virus. In passato, le altre epidemie di Ebola si sono sempre sviluppate in zone isolate, in piccoli villaggi, e questo aveva permesso di contenere il contagio».

L’équipe medica di Msf (formata da circa 100 persone) sta lavorando in questi giorni a stretto contatto con i responsabili del ministero della Salute congolese e con i funzionari dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). «Abbiamo un team a Bikoro che sta facendo una valutazione sui casi sospetti – spiega ancora Girometti – e stiamo realizzando zone di isolamento in diversi ospedali: 5 nell’ospedale di Mbandaka e 10 in quello di Bikoro. A questi si aggiungono i centri di trattamento per il virus Ebola separati dagli ospedali, uno a Bikoro e uno a Mbandaka, ognuno da 20 posti letto. L’importanza di queste postazione non è solo legata al contenimento del contagio, ma anche alla possibilità per le popolazioni locali di continuare a farsi curare negli ospedali, nonostante la presenza di casi Ebola».

Il virus si trasmette per contatto, attraverso i liquidi corporei (saliva, sudore, muco etc). Con il centro di ricerche epidemiologiche Epicentre Msf sta lavorando insieme al ministero e all’Oms anche per l’implementazione del vaccino per l’Ebola (rVSVDG-ZEBOV-GP), come ulteriore misura di controllo dell’epidemia. «Dal momento in cui si presentano i sintomi del contagio l’incubazione è di 21 giorni – aggiunge la communication officer di Msf -. La possibilità di sopravvivere al virus dipende da diversi fattori, in particolare dal sistema immunitario dei singoli. Il vaccino che si sta utilizzando è ancora in fase investigativa, per questo si usa solo nei casi di epidemie. Qui si stanno vaccinando solo coloro che sono stati a stretto contatto con persone contagiate o malate, quindi tutto il personale medico, per esempio». L’altro fronte su cui ci si sta muovendo è quello della sensibilizzazione: «stiamo cercando di identificare i casi sospetti e portarli negli ospedali, ma anche di informare la popolazione sulla malattia. Nelle zone isolate la gente non sa del virus, non sa riconoscere i sintomi – aggiunge Girometti -. Noi gli spieghiamo cosa fare. Per esempio un problema sono le sepolture: i corpi restano contagiosi anche dopo la morte, per questo vanno bruciati».

Msf spiega che sono 6 i “pilastri” di un intervento Ebola: trattamento immediato e isolamento dei soggetti malati; tracciamento e monitoraggio dei contatti; informazione delle persone sulla malattia, su come prevenirla e dove cercare assistenza; sostegno all’assistenza sanitaria esistente e modifica temporanea delle usanze nelle sepolture. «Questa è la nona epidemia di Ebola in Congo negli ultimi 40 anni. Finora, sono tutte scoppiate in aree remote e isolate, com’è stato per l’ultimo caso dello scorso anno a Likati, quando l’epidemia non si è diffusa», conclude la dottoressa Roberta Petrucci, membro di una delle équipe di Msf sul campo. «Con i nuovi casi confermati a Mbandaka, la situazione è cambiata, ed è diventata più grave e allarmante».

 

 

25 maggio 2018