È il bene che illumina la città

L’editoriale del sacerdote che nel 1974 dirigeva l’Ufficio comunicazioni sociali una settimana dopo il varo del settimanale diocesano all’interno di Avvenire

L’impatto del primo numero del settimanale diocesano con le comunità parrocchiali e le varie comunità religiose e associative di Roma, è stato fondamentalmente buono. Buono il giudizio sull’impostazione generale, buono l’accoglimento dei temi trattati, almeno discreta una diffusione capillare ancora in via di rodaggio. Dovranno cadere alcune pareti di pregiudizi vari, perché l’ingresso ad una fiducia completa si apra agli assalti ebdomadari di questa voce, ancora neofita, ancora bisognosa di stampelle, pur gloriose, per reggersi, ma sicura del proprio ruolo benefico, animatrice di comunione ecclesiale e documento di realtà, stimolanti una convivenza civica più degna.

L’impianto duplice del foglio settimanale – un discorso di Chiesa nelle sue multiformi componenti e un discorso di istituzioni o di avvenimenti a sfondo benefico – è già un’opzione caratterizzante se non una garanzia. Il rilevamento dei fatti positivi, da troppo tempo interrati sotto ambigui residui di indifferenze e di rispetti umani, ha oggi più che mai il suo valore non solo di obiettività, e quindi di giustizia, ma di necessario equilibrio, di rinnovato impegno, di esemplarità per un lavoro d’assieme nella ricostruzione della società cristiana.

È necessario conoscere gli altri e il bene degli altri per imparare, per credere (ossia per aver fiducia), per sostenersi, per superarsi: giacché una comunità credente non è mai arrivata, è sempre in cammino, sempre in ascolto, sempre in tensione, perché lo Spirito che la anima è inesauribile. Così è anche la Chiesa locale di Roma, nei suoi riferimenti umani e cristiani: piena, sì, d’ombre, che non sono né più dense né più scandalizzanti di ogni altra megalopoli di moda (e questo è un altro discorso), ma anche di tanta luce che si riflette dal passato al presente, al centro e nelle borgate, con una continuità consolante e promettente.

L’interpretazione unilaterale, peggio se viziata da presupposti antievangelici, non risolve, ma opprime. Una documentazione del bene, non per fini trionfalistici, ma per fede e speranza cristiana – fede nella salvezza che la Provvidenza va gradualmente preparando, e speranza nel cammino in avanti degli uomini – intendiamo offrire a quanti sono ancora dubbiosi sull’utilità di un mezzo unitivo e celebrativo della Chiesa romana che si sforza di migliorarsi e vuole compaginarsi per un’opera di miglior stile e di più duraturo risultato. Alla voce dei singoli, noi preferiamo la voce della comunità operante. La voce degli individui può essere interessata o artefatta. La voce della comunità, la voce del Popolo, è proverbialmente la voce di Dio. (Elio Venier)

 

24 novembre 1974