Dostoevskij e la bellezza che salverà il mondo

Dedicato allo scrittore russo il primo degli incontri “Ascoltando i maestri”, dell’Ufficio diocesano cultura e università, con Piero Boitani (Sapienza) e Andrea Lonardo

Una serata dedicata a Fëdor Dostoevskij ha avviato venerdì, 19 novembre, il ciclo di incontri “Ascoltando i maestri”, promosso dall’Ufficio per la cultura e l’università del Vicariato, che intende «declinare il tema pastorale di quest’anno, ossia l’ascolto, dando voce ai grandi autori», come ha spiegato – in apertura del primo dei 6 appuntamenti in calendario fino a maggio – Francesco d’Alfonso, coordinatore dell’Area Alta formazione artistica, musicale e coreutica dell’Ufficio.

La riflessione proposta ai tanti studenti universitari presenti nella basilica di San Lorenzo in Damaso, incastonata nel Palazzo della Cancelleria, a pochi passi da piazza Navona, ha preso le mosse da un interrogativo: “Quale bellezza salverà il mondo?”, richiamando la nota citazione del filosofo e scrittore russo contenuta nel suo romanzo “L’idiota”. Ad alternarsi negli interventi, monsignor Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio diocesano, e Piero Boitani, professore emerito di Letterature comparate alla Sapienza.

«Il primo elemento da mettere in luce – ha detto Lonardo – è relativo alla bellezza di cui Dostoevskij parla. Infatti non si riferisce a quella dell’arte ma a quella di una persona, in particolare del principe Lev’ Nicolaic Myskin, protagonista dell’opera, che è bello perché nobile d’animo e sincero». Di seguito, la sottolineatura: «A differenza dei cosiddetti “maestri del sospetto”, come ad esempio Freud, che cercavano ciò che “sporca” l’uomo – ha spiegato il sacerdote -, Dostoevskij cerca l’uomo totalmente bello, quello che emana bellezza perché, prima di tutto, la sa cogliere negli altri, e riconosce in Cristo colui nel quale c’è e si manifesta la bellezza totale». Ancora, interessante il parallelismo tra l’idiota, il protagonista del romanzo russo, e il Figlio di Dio. «Come la bellezza di Cristo, condannato e crocifisso, non ha ottenuto, o sembra non avere ottenuto, nessun risultato – ha chiosato Lonardo -, così pare essere per quella del principe, dato che nell’ultimo capitolo vediamo come tutti ritornano a casa senza che nulla sia cambiato. “L’idiota” termina quindi con l’incomprensione della bellezza, della quale ci mostra la meraviglia». Tuttavia «un classico è un libro non che noi leggiamo ma che ci legge e per questo, se nella sua polisemia è impossibile definirlo con un’etichetta, questo è un libro che ci apre alla domanda su cosa sia davvero la bellezza e ci porta a chiederci se siamo in grado di riconoscerla».

Anche Boitani ha osservato come il romanzo di Dostoevskij pubblicato nel 1869, non dà risposte ma «vuole farci riflettere su quello che siamo», anzi, «l’autore, che amava alla follia i personaggi più estremi – e quello che ha fatto nei suoi romanzi è stato infatti cercare di descriverli -, vuole farci riflettere su quello che non vogliamo essere» perché se «tutta l’arte è mimesi della realtà, siamo noi, alla fine, che attribuiamo le qualità a quello che vediamo». Ripercorrendo la tradizione letteraria antica, occidentale e orientale, l’esperto ha ricordato da un lato «la bellezza di Elena, tremendamente bella, o anche quella di Cassandra; tuttavia questo tipo di bellezza non salva, ma, al contrario, condanna»; dall’altro, ha evidenziato come «il bello viene associato alla grandezza del vero, per cui la bellezza è verità e la verità è bellezza». Guardando poi alla Bibbia, Boitani ha sottolineato la coincidenza tra la massima bellezza e «la gloria di Cristo», passando quindi ad analizzare il quadro di Hans Holbein che rappresenta Cristo deposto dalla croce e di cui Dostoevskij parla nel suo romanzo, nel secondo capitolo. «È un quadro perturbante – ha detto – ma per quanto sia rivoltante è bello ed è quella bellezza, di un uomo morto che in realtà è la Parola più vera, quella che salverà il mondo».

22 novembre 2021