Dopo l’emergenza, “resilienza” o “sindrome della capanna”?

Gli atteggiamenti possibili di fronte ai cambiamenti dovuti alla pandemia e al lockdown. Le strategie da mettere in campo per fare i conti con le proprie vulnerabilità

In questi ultimi mesi abbiamo fatto amicizia con il termine “resilienza” e con la definizione “sindrome della capanna”, che sono entrati a far parte del linguaggio comune. Ma qual è il loro significato applicato alla vita quotidiana? L’essere umano, per creare la propria “esperienza personale”, entra attivamente in un continuo processo di autorinnovamento grazie al quale le perturbazioni provenienti dall’interazione con il mondo esterno sono trasformate in informazioni significative che contribuiscono a formare livelli sempre più complessi di identità e consapevolezza di sé.

sindrome della capanna, depressione, isolamento, paura post covidOgnuno di noi ha una percezione e valutazione di sé nei diversi ambiti (vita sociale, lavoro, intimità, ecc.), che può modificarsi anche all’interno di uno stesso ambito, a seconda dell’intensità delle esperienze emotive in corso. Ad esempio, una persona con un senso di sé che oscilla tra l’essere “fragile” e “debole” e “capace di autocontrollo” e “forza” tenderà ad una percezione della realtà oscillante tra l’immagine di un mondo “pericoloso” in cui si ha bisogno di protezione e l’immagine di un mondo che si può affrontare grazie alla propria capacità.  Sembra che il nostro modo di vedere e percepire la realtà, e noi stessi al suo interno, dipenda essenzialmente da come vediamo e concepiamo noi stessi.

Le nostre reazioni si influenzano, coinvolgendo aspetti relazionali, sociali, culturali ed etici e, in contesti di normalità, la nostra percezione della realtà è stabile, confermando le aspettative che abbiamo elaborato. Al contrario, condizioni imprevedibili e fuori controllo (come ciò che stiamo vivendo con la pandemia da Covid), deformano completamente la linearità dell’esperienza, introducendo il vissuto di minaccia. Ognuno di noi risponde alla minaccia utilizzando gli strumenti che gli sono propri e mettendo in atto reazioni psicofisiche più o meno intense e di durata variabile che predispongono ad attivare e mettere in campo ogni risorsa.

resilienza post-covid, mascherina, positività, coronavirusÈ a questo punto che possiamo introdurre il termine “resilienza”, il cui significato in psicologia è «la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà». Questa capacità porta la maggior parte delle persone a ritrovare in tempi brevi un equilibrio con un ritorno allo stato precedente. Vi è una complessa interazione tra l’evento, la situazione del momento, la vulnerabilità della persona (sia precedente l’evento sia con le capacità attivate dall’evento stesso) e le sue risorse fisiche, psicologiche e relazionali disponibili in quel momento.

L’obiettivo a questo punto è di ritrovare un equilibrio fra gli stimoli che minacciano la nostra capacità di resilienza, la necessità di andare avanti nella quotidianità, la regolazione emotiva e la sensazione di avere il controllo sul proprio stato mentale. Attualmente la lenta ripresa della vita lavorativa e di socializzazione, seppur con modalità restrittive, ci sta aiutando ad intravedere la nostra “normalità”. L’evento diventa traumatizzante quando il suo impatto neutralizza la resilienza dell’individuo e il suo autocontrollo. Sono molteplici i casi in cui le situazioni familiari e/o personali hanno subìto una escalation negativa poggiata su conflitti e difficoltà già esistenti ed esacerbati.

giovani con mascherine, coronavirus, covid-19Altra è l’esperienza, sempre legata agli effetti del lockdown, che ho potuto notare anche in prima persona: se da un lato si è vissuta la costrizione con malessere e deprivazione, dall’altro l’isolamento sociale, con la deresponsabilizzazione delle proprie scelte, è servito a rasserenare e frenare lo stress, donando tempo alla riflessione personale, al “curare” i rapporti familiari e a godere dei propri spazi e dei propri tempi. Queste nuove modalità hanno fatto sì che le persone sperimentassero una sorta di rassicurazione rafforzata dal non doversi confrontare e misurare con l’ambiente esterno, vissuto come richiedente e competitivo. Tornare ad essere liberi anche negli spostamenti ha creato un insieme di sensazioni: paura, insicurezza, tristezza, ansia. Tale stato emotivo, viene definito “sindrome della capanna” (o “del prigioniero”) e si riferisce ad uno stato di smarrimento che implica la voglia di continuare a rimanere al sicuro nella propria casa. Secondo la Società Italiana di Psichiatria sono circa un milione gli italiani che stanno vivendo tale malessere.

Tendenzialmente, la “sindrome della capanna” dovrebbe diminuire con il normalizzarsi della situazione esterna. Delle strategie per facilitare e velocizzare l’allontanamento delle  reazioni disturbanti e che facciano leva sulla nostra resilienza possono essere, ad esempio, creare delle routine, fare attività fisica e creativa, essere in contatto con gli altri evitando l’isolamento, accogliere le proprie emozioni, prendersi cura di sé con dei piccoli gesti quotidiani, stabilire degli obiettivi, cercare di trasformare al positivo i propri vissuti e la propria esperienza, sapersi ascoltare e, se lo stato di paura diventa difficile da controllare, è importante esserne consapevoli per eventualmente chiedere  aiuto ad un  professionista. (Lucia Calabrese, psicoterapeuta e sessuologa clinica)

6 luglio 2020