Don Sigurani: «L’amore donato, l’unica cosa che rimane»

Le esequie del sacerdote celebrate a Sant’Andrea della Valle da don Carlevale, designato da don Pietro nelle sue ultime volontà. Il nipote Stefano: «La sua missione è stata accogliere chi era in difficoltà, emarginato, per restituirgli la dignità»

Don Pietro Sigurani era «affascinato dell’umanità che aveva davanti», alimentato dalla «passione per la Messa che celebrava e per la Parola che predicava»; amava il suo ministero sacerdotale e la Chiesa di Roma, ma soprattutto nutriva un amore «spassionato e viscerale per i poveri, nei quali vedeva la carne del Signore Gesù». La voce di don Andrea Carlevale, parroco di Santa Maria di Loreto, si è incrinata più volte per l’emozione mentre ricordava don Pietro Sigurani del quale ieri sera, 6 luglio, sono stati celebrati i funerali nella basilica di Sant’Andrea della Valle. Morto lunedì 4 luglio all’età di 86 anni, fino al 2021 è stato rettore della basilica di Sant’Eustachio, ma prima aveva guidato per 37 anni la parrocchia della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo. È qui che don Andrea, ancora bambino, ha conosciuto don Pietro. Con lui era stato chierichetto e da lui è stato seguito quando ha maturato la vocazione sacerdotale. Ed è stato proprio don Pietro che nelle sue ultime volontà ha designato don Andrea come celebrante del rito funebre. Una «scelta sciagurata – l’ha definita don Carlevale -. Io posso parlare di lui come un figlio parla del padre e consegno al Padre del cielo colui che ha fatto assaggiare la paternità a tante persone».

In molti hanno gremito la chiesa per i funerali, che sono stati concelebrati dal cardinale Enrico Feroci, da numerosi vescovi e sacerdoti. Tra i banchi anche molti poveri, per i quali Sigurani «non si è mai risparmiato» e fino agli ultimi giorni, ha affermato don Andrea, a chi gli era accanto ha ripetuto che «l’amore donato è l’unica cosa che rimane». Di lui rimarranno anche le opere, come la Casa della Misericordia, inaugurata nel 2018 nei sotterranei di Sant’Eustachio, e la “Domus caritatis”, con una mensa da 90 posti e un dormitorio con 20 letti, fatta costruire nella chiesa della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo. «Tutto quello che ha fatto nella sua vita – ha proseguito don Andrea – l’ha fatto esclusivamente per amore e non per la sua realizzazione». E ha aggiunto: «Il miglior commento della Scrittura è stata la vita stessa di don Pietro».

Al termine della celebrazione, sempre su disposizioni lasciate da don Sigurani, l’unico a prendere la parola è stato il nipote Stefano, il quale ha ricordato che nei 61 anni di sacerdozio don Pietro «ha messo gli ultimi al centro della Chiesa. La sua missione è stata accogliere chi era in difficoltà, discriminato, emarginato, per restituirgli la dignità. Spendeva tutte le sue energie per coloro che erano nel bisogno». Tra i tanti “ex giovani” della parrocchia Natività di Nostro Signore Gesù Cristo che hanno partecipato alla liturgia c’era anche Francesco. «Una vita trascorsa al fianco di don Pietro – dice -: ha impartito i sacramenti a me e ai miei figli. Ci ha insegnato l’importanza della “gratuità”. Come il Signore opera gratuitamente con tutti noi, così siamo chiamati a fare verso i poveri».

Dal 1998 al 2010 Sigurani è stato anche incaricato dell’Ufficio per la pastorale delle migrazioni della diocesi di Roma. Qui lo ha conosciuto monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio Migrantes del Vicariato. «Con lui – afferma – ho mosso i primi passi nel mondo della mobilità umana. Ricordo la cura nel preparare la liturgia anche nelle comunità etniche. Una liturgia che si doveva realizzare nella vita buona del quotidiano e di questa vita buona la centralità erano i poveri, che per don Pietro rappresentavano il sacramento del Signore nella storia». La sua vita è raccontata nel libro “Poveri noi! Don Piero Sigurani: la rivoluzione della carità” (Paoline), di Romano Cappelletto ed Elisa Storace. Quest’ultima lo ricorda come un uomo «evangelico. Parlava di Cristo senza parole, aiutando i poveri. Lo faceva stando con loro, ascoltandoli, condividendo tutto ciò che gli veniva donato dalla Provvidenza. Appassionato, schietto e “romanaccio” ma anche accogliente, sensibile e dolcissimo quando serviva».

7 luglio 2022