Don Meloni: lo sguardo preferenziale per i poveri

L’esperienza del parroco della Magliana, segno dell’impegno dei sacerdoti. La “scintilla” della vocazione da un incontro con madre Teresa di Calcutta

Prosegue la campagna Cei per la sensibilizzazione sul sostegno ai sacerdoti diocesani. Spot tv e radio, video e articoli – protagonisti anche i periodici diocesani come Romasette.it iscritti alla Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici) – mettono in luce l’impegno dei presbiteri e le attività promosse grazie alla collaborazione con i volontari laici. Opportunità per richiamare alla corresponsabilità economica verso l’operato dei sacerdoti diocesani e sentirsiUniti nel dono”. Nella campagna di sensibilizzazione si inserisce il racconto di storie dell’impegno di sacerdoti diocesani: dopo quella dedicata a don Simeone, Romasette.it propone l’esperienza di don Stefano Meloni, parroco alla Magliana.

 

Arrivando alla Magliana, lo trovi a giocare con i ragazzi nel campo di pallavolo dell’oratorio. Don Stefano Meloni, 68 anni, parroco di San Gregorio Magno dal 2019, è un fiume in piena di energia: «Sono arrivato qui poco prima del lockdown, ho bisogno ancora di un po’ di tempo, per questo non ho ancora riflettuto su progetti futuri – confida ridendo -. Per il momento, vista l’assenza di luoghi di aggregazione, abbiamo avviato un corso di teatro e aperto un’aula studio, ma il lavoro da fare è ancora tanto».

Quartiere alla periferia sud-ovest della Capitale, Magliana è infatti un territorio storicamente complesso, con una popolazione numerosa, che conta circa 40mila abitanti, la maggior parte dei quali di estrazione popolare: «Qui ci sono tante situazioni di povertà diffusa: alcune persone vivono nello stabile occupato dell’ex scuola “8 marzo” mentre altre provengono dal campo rom di via Candoni e da un insediamento sotto il viadotto della Magliana». A loro, ma non solo, è rivolto il servizio del centro di ascolto, aperto il lunedì e il giovedì pomeriggio per lenire il disagio di quanti, a causa dell’emergenza sanitaria, sono stati travolti dal buco nero della solitudine: «Durante la pandemia non ci siamo mai fermati: insieme ai volontari abbiamo raggiunto i più bisognosi direttamente fuori dalle loro case – racconta il parroco -. Da dicembre abbiamo anche avviato un servizio di emergenza freddo per garantire tutte le sere un pasto caldo a chi vive in strada».

Quello di don Stefano è uno sguardo preferenziale per i poveri, in particolare per la comunità rom, sostenuta con la distribuzione di pacchi viveri e vestiario, oltre che con l’ascolto sul “campo”: «La parrocchia è casa loro e il campo è casa mia – confessa emozionato -. Per questo tutti i venerdì pomeriggio, insieme alla responsabile del centro di ascolto Debora Foglia, li vado a trovare: cerchiamo di capire le loro esigenze, affianchiamo i più piccoli con i compiti e aiutiamo le mamme, spesso sole con tanti figli, a inserirsi nel contesto sociale attraverso la rete di solidarietà molto attiva nel quartiere». A ciò si aggiunge l’impegno della parrocchia sul fronte del lavoro: dall’acquisto di camioncini per la raccolta legale del ferro, grazie al progetto del Fondo Gesù Divino Lavoratore voluto da Papa Francesco, all’avvio di sei corsi di formazione per la qualifica di operatore socio-sanitario. Un’integrazione virtuosa, frutto di una convivenza che in passato incontrò non poche tensioni sul territorio: da qui l’arrivo di don Stefano, che alle spalle e nel cuore aveva una lunga esperienza nell’accoglienza dei più fragili, maturata ancor prima della sua vocazione.

Uniti nel dono«Da ragazzo – racconta – ero uno dei collaboratori più assidui delle suore di Madre Teresa nella casa di accoglienza “Dono di Maria”: lì ho imparato la gioia del servizio e della fede». La “scintilla” durante l’incontro con Madre Teresa: «Un pomeriggio, dopo avermi chiesto se mi fossi sposato, mi disse che dovevo diventare prete. Io mi sentivo appagato, l’idea non mi aveva ancora mai sfiorato, poi una serie di coincidenze mi portarono a entrare in Seminario – ricorda -. Diventai sacerdote nel 1999». Subito dopo l’ordinazione ha ricoperto l’incarico prima di vicario parrocchiale e poi di parroco a Santa Maria Madre della Misericordia a Villa Gordiani, dove è rimasto per vent’anni: su suo impulso fu aperta una piccola casa di accoglienza in parrocchia e avviato un profondo rapporto di amicizia con la vicina comunità rom. «Nel 2000 ci fu un incendio nel campo e le famiglie rischiavano di venire separate, così decidemmo di ospitarle in oratorio. Si sentirono parte della famiglia: iniziarono a frequentare la parrocchia e alcuni bambini furono anche battezzati».

Alla Magliana don Stefano incontra una realtà più complessa: «A Candoni le persone vivono come in un ghetto: emarginate da tutto, dentro un campo recintato – spiega -. Soprattutto i più piccoli sentono questa “distanza”: l’integrazione comprende infatti anche giocare, studiare, divertirsi insieme». Ciò che conta «è saper accogliere le differenze senza annullarle». Quello che don Stefano si impegna a fare in ogni attività parrocchiale, come racconta Debora: «È instancabile, non dice mai di no quando si tratta di aiutare chi è in difficoltà». In fondo, infatti, per don Stefano il compito del parroco si sintetizza bene nei tre “pani” che rappresentano il simbolo della Casa della carità, altra «perla preziosa» della parrocchia – importata da Reggio Emilia -, dove vivono persone anziane, con disabilità o in situazioni di disagio sociale, insieme a due suore appartenenti all’ordine delle Carmelitane Minori: «Parola, Eucaristia e servizio ai poveri – conclude – sono le tre dimensioni che riassumono un modo completo di vivere e condividere la fede come qualcosa di bello e importante».

25 febbraio 2022