Don Luigi Di Liegro, testimone di una carità che è «giustizia sociale»

L’eredità del fondatore e primo presidente della Caritas diocesana ricordata in un convegno, a 25 anni dalla morte. De Donatis: «Roma ha ancora molto da imparare da ciò che lui ha vissuto e compiuto». Il sindaco Gualtieri: «Ripartire dai più fragili». Il messaggio del presidente Mattarella

Stralci di videointerviste in bianco e nero, nelle quali don Luigi Di Liegro denuncia il «comportamento aberrante» di chi esclude gli ultimi, hanno aperto questa mattina, 12 ottobre, il convegno “Don Luigi Di Liegro. L’attualità di una visione” svoltosi in Campidoglio. Dichiarazioni rilasciate tre decenni fa, in cui il fondatore e primo direttore della Caritas diocesana parla di immigrazione, delle infrastrutture carenti, della necessità di essere accanto ai più deboli, che sembrano affermazioni delle ultime settimane. Promosso dalla Fondazione internazionale Don Luigi Di Liegro nel 25° anniversario della morte del “prete degli ultimi”, l’evento ha ripercorso le tappe di un ministero sacerdotale iniziato nel secondo dopo guerra in una Roma spaccata in due tra la “dolce vita” di via Veneto e le baraccopoli delle periferie. Era qui che don Luigi ha speso gran parte della sua missione realizzando a favore dei poveri «opere concrete che tutt’ora recano sollievo e conforto ai più bisognosi ed emarginati», ha ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un messaggio di saluto inviato agli organizzatori.

Oggi Roma ha «ancora molto da imparare e tradurre in azione ciò che lui ha vissuto e compiuto», ha detto il cardinale vicario Angelo De Donatis delineando tre caratteristiche: le eredità di don Luigi, noto anche per essere stato promotore e coordinatore del convegno sui “mali di Roma” nel 1974. Innanzitutto la capacità di avere «uno sguardo di insieme sulla città, nessuna zona esclusa». Quindi la preferenza «per i poveri – ha proseguito il porporato -. Più erano nascoste e invisibili le persone, più esse erano visibili per lui e se ne faceva portavoce». Oggi, invece, ha riflettuto il vicario, «capita spesso che ci dimentichiamo degli ultimi, che non partiamo dagli ultimi; non si vedono, non si sentono, quindi non danno fastidio, perché il loro è un grido sordo e muto». Da ultimo, la dimensione della carità di don Di Liegro, il quale «ha gridato con ogni sua azione, con ogni sua parola, con tutte le forze e fino alla fine, che la carità è innanzitutto giustizia sociale, che ci vuole più giustizia e non elemosina; ha insistito e speso la vita per i diritti di tutti, altrimenti scadiamo nella logica delle briciole, e le persone fragili perdono la dignità».

Per Di Liegro le istituzioni dovevano occuparsi in primo luogo dei più vulnerabili altrimenti qualsiasi progetto, anche il più ambizioso, sarebbe fallito. D’accordo anche il sindaco Roberto Gualtieri, secondo cui Roma «non sarà in grado di cogliere le grandi opportunità di innovazione con il Pnrr ed Expo se non si parte dai diritti dei più fragili e dei più deboli. La città rimarrebbe più lacerata e ingiusta e non si riuscirebbe a modernizzarla». La giunta capitolina, ha spiegato, sta cercando di «essere coerente con questa visione. Se dobbiamo fare di più, non potremo mai fare da soli, senza una rete di coprogettazione e attivazione che esprima le capacità sociali e civili di questa città, di cui il lascito di Di Liegro fa parte, rappresentando per noi e per i romani una risorsa importantissima».

L’attenzione per i migranti, per i tossicodipendenti, per i malati di Aids – per l’accoglienza dei quali fondò un centro ai Parioli che gli costò minacce e aggressioni – resero don Di Liegro «fastidioso. Un uomo che, pur non facendo politica, si misurava con problemi e situazioni alle quali dovrebbe attendere proprio la politica», le parole di padre Sandro Barlone, presidente della Fondazione Di Liegro. A muoverlo, ha ricordato il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi – intervenuto nella prima sessione del convegno, moderata dal direttore dell’Osservatore Romano Andrea Monda -, «il sogno di una Chiesa secondo il Concilio». Ricordando la celebrazione del 60° anniversario dell’apertura, ieri, 11 ottobre, Riccardi ha evidenziato «l’entusiasmo» di don Luigi per il Concilio Vaticano II, che  era la sua primavera, la sua speranza, la sua gioia. L’ex sindaco Francesco Rutelli, invece, gli è riconoscente per tutte le volte che lo ha «criticato, rimanendo sempre nella griglia etica, politica, civile, cristiana».

A dare voce alla Caritas diocesana, l’attuale direttore Giustino Trincia, che ha posto l’accento sulla necessità di fare rete per risolvere le grandi «malattie» di Roma. Su tutte, la solitudine. «Credo che don Luigi di Liegro ci abbia testimoniato che una grande passione civica e/o religiosa che ci veda camminare uniti nelle differenze sia il modo migliore per costruire il Regno di Dio, interpretando oggi quelli che sono i nostri segni dei tempi, senza nostalgia per un passato che non ritorna e con i piedi, lo sguardo e il cuore ben radicati nella nostra storia, nel nostro tempo», ha rilevato. Il presidente del Centro Astalli padre Camillo Ripamonti ha riscontrato delle analogie tra Di Liegro e padre Arrupe, fondatore del Jesuit Refugee Service: per aiutare i più poveri «bisogna osare di più come fecero questi grandi uomini, cioè contrastare la cultura dello scarto per instaurare quella della fraternità. Questo aiuta a integrare e includere i migranti e chi sta ai margini». Per rispondere alle esigenze del prossimo in difficoltà, insomma, l’unica strada è «camminare insieme – ha conclusa Luigina Di Liegro, segretaria generale della Fondazione, oltre che nipote di don Luigi -. Roma deve essere una città di comunità».

12 ottobre 2022