Don Grimaldi: «Nel cuore dei ristretti infondiamo la certezza che Dio li ama»

Il messaggio dell’ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane per la Quaresima, tempo di digiuno «anche dai nostri consolidati rapporti umani»

«Dono e opportunità». Nel suo messaggio per la Quaresima – rivolto a cappellani, diaconi, religiose, religiosi e volontari in servizio presso gli istituti penitenziari -, con Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane, definisce così il tempo di preparazione alla Pasqua. Pure nella consapevolezza che «la Quaresima che vivremo quest’anno sarà certamente diversa dalle altre. La pandemia – riflette – ha messo a tacere e ha rallentato un mondo in corsa, riducendo anche, con grande sofferenza, le nostre vive attività pastorali nelle nostre carceri. Ma noi tutti – prosegue – vogliamo vivere questo tempo di grazia, come dono e opportunità che ci permetterà di incarnare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa».

La Quaresima, osserva ancora il sacerdote, è tempo di digiuno, «non solo però dalle cose materiali, ma in questo tempo difficile, anche dai nostri consolidati rapporti umani. Questo tempo, contagiato da tante paure, ha minato le nostre sicurezze, ma noi non possiamo reprimere l’orizzonte della speranza che ci viene dal Cristo, il Vivente e il Risorto; è Lui che “fa nuove tutte le cose”, il nostro compito è solo prenderci cura dell’altro per rendere migliori noi stessi e migliorare il mondo che ci circonda. Papa Francesco nel suo messaggio ci invita a rinnovare e a fortificare i pilastri del nostro essere credenti».

Di qui l’invito a rinnovarsi, nel cammino quaresimale, attraverso le tre virtù teologali della fede, della speranza e della carità. La fede, «per aprire e accogliere nel nostro cuore la verità del Vangelo, una fede, che con la vostra attività pastorale aiuterà i molti ristretti a superare e ad affrontare la sofferenza e la solitudine». La speranza che «ci parla di misericordia e di fiducia e che noi tutti siamo chiamati a infondere in tanti uomini e donne rinchiusi nei luoghi del dolore». La carità che «non deve solo accontentarsi» di aiutare a superare l’emergenza ma deve anche «rallegrarsi di vedere crescere l’altro». Ricordando le parole di Papa Francesco, l’ispettore generale la definisce «”lo slancio del cuore che ci fa uscire da noi stessi”. Nelle carceri – conclude -, l’uomo angosciato, che incrociamo ogni giorno ha bisogno di incontrare l’amore, di sentirsi accolto dalla tenerezza e non essere giudicato per i suoi errori. Nel cuore dei ristretti infondiamo la certezza che Dio li ama, che il loro dolore non è nascosto ai suoi occhi paterni».

19 febbraio 2021