Don Ciotti: «Contro le mafie, non possiamo tacere»

Conclusa con l’intervento del fondatore la manifestazione organizzata da Libera a Locri, nella Giornata dedicata alle vittime. «Non rassegnamoci»

Conclusa con l’intervento del fondatore la manifestazione organizzata da Libera a Locri, nella Giornata dedicata alle vittime. «Non rassegnamoci a violenza e corruzione»

«Noi non possiamo assolutamente tacere». Lo ha ribadito con forza don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, concludendo questa mattina, 21 marzo, a Locri la manifestazione promossa dall’associazione nella Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime delle mafie. «Credo che siamo qui – ha detto il sacerdote intervenendo dal palco al quale è giunto il corteo che in mattinata aveva attraversato la città – perché amiamo la vita, e abbiamo un debito con chi è stato assassinato, con le loro famiglie. Ma non basta più ricordare: bisogna farli vivere nel nostro impegno. Essi ci parlano e ci chiedono di essere noi più vivi. Ci hanno lasciato in eredità la speranza di una società più giusta e più umana».

Nelle parole di don Ciotti, l’invito alla «responsabilità», alla «relazione», alla «giustizia sociale»: è necessaria, ha affermato, «una vera cittadinanza che significa corresponsabilità. Evitiamo il rischio di fare della legalità un idolo, attenzione alla retorica della legalità, che è lo strumento, è il mezzo per raggiungere un obiettivo importante che si chiama giustizia». Primo antidoto alla «pesta mafiosa», secondo il sacerdote, restano «il lavoro, la scuola, i servizi educativi e sociali», ma occorre anche «restituire l’economia alla vita, ricominciare dalla cura dell’ambiente. Non ci può essere economia senza ecologia». Ancora, il fondatore di Libera ha evidenziato che «i diritti non sono solo una questione di umanità ma il presupposto di ogni progresso sociale, civile, economico. Ma – ha proseguito – se oggi sono così deboli è anche a causa di chi li difende troppo debolmente. Siamo anche noi responsabili perché troppo tiepidi, a volte troppo prudenti». L’esortazione è allora quella al «cambiamento», che «comporta una promozione della vita a partire dai diritti sociali, civili che la garantiscano. I beni comuni non possono obbedire alle leggi di mercato, la vita non è una merce in vendita». Quindi un passaggio sulla legge di contrasto alle povertà: «Il provvedimento è del tutto insufficiente perché la maggior parte delle persone in povertà rimane fuori; è un piccolo passo da sostenere ma che raggiunge una fetta troppo piccola di persone».

Dal palco di Locri il fondatore di Libera ha rilanciato l’urgenza di «accompagnare e tutelare i figli delle mafie attraverso i tribunali dei minori», puntando il dito contro «la malattia più terribile: la delega e la rassegnazione». Ma a questa malattia ha indicato anche un “antidoto”: «L’educazione e la meraviglia delle scuole». Anche se, ha evidenziato, «nessuno ha la ricetta in tasca, e l’educazione, se mira davvero alla libertà e alla responsabilità della persona, non può essere mai imposta ma sempre proposta. Si educa insieme, si cresce insieme». Allo stesso tempo però è necessario il “fare”. «Le parole sono stanche, bisogna che i progetti si traducano: i giovani hanno bisogno di risposte soprattutto nel nostro presente. In assenza di progetti e proposte concreti e credibili rischiano di rassegnarsi alle mafie come un male inevitabile».

Tra i punti toccati nell’intervento di don Ciotti, anche il richiamo al dramma dell’usura e ai «morti vivi, le persone a cui la mafia toglie speranza e dignità, morti vivi per mancanza di coraggio. Mafia – le parole del sacerdote – è puntare il dito senza fare nulla e girarsi dall’altra parte. L’omertà uccide la verità e la speranza. Se oggi la mafia è forte è perché le ingiustizie si sono alleate con le nostre omissioni». Di qui la richiesta di «rafforzare l’agenzia dei beni confiscati» e la legge relativa: «Nessun compromesso al ribasso sui temi delle intercettazioni». Necessari anche il «completamento della normativa anticorruzione» e «sbloccare l’iter della legge sul gioco d’azzardo». Di qui l’auspicio: «Insieme, siamo un segno di speranza. Non rassegniamoci alla violenza, alla corruzione, alle mafie. No a distrazioni e sottovalutazioni. È rischioso abbassare la guardia».

Inevitabile anche il riferimento all’episodio delle scritte sui mori di Locri, ieri, 20 marzo, nelle quali veniva apostrofato come “sbirro”. «Quelli che chiamiamo sbirri – ha detto – sono persone al servizio dello Stato, di tutti noi, persone con professionalità e dedizione, cui dobbiamo essere grati. La prendo non come un’offesa ma come un complimento». Quindi ha continuato: «Sono d’accordo che ci vuole più lavoro ma deve essere vero, onesto, tutelato nei diritti, non sottomesso e servile. Abbiamo bisogno di politiche di lavoro che riducano le disuguaglianze, politiche concrete sul lavoro e misure che consentano ai giovani di rientrare in Calabria e nel Sud attraverso l’utilizzo dei fondi europei già presenti». Da ultimo poi don Ciotti ha assicurato ai familiari delle vittime di mafia «la vicinanza e la memoria», invitando a non dimenticare la strage di Capaci, 25 anni fa: «Vi prego, non dimentichiamo».

21 marzo 2017