Don Boumis, in missione il valore dell’accoglienza

Il parroco di Sant’Agapito ricorda la sua esperienza in Brasile, di cui ha riportato a Roma le intuizioni sperimentate. «Mi impegno ad applicare la tenerezza»

La diocesi brasiliana di Floresta, quando è arrivato don Paolo Boumis, aveva il tasso di suicidi più alto al mondo. «La parrocchia dove sono stato parroco per cinque anni, nello Stato del Pernambuco, è quella di Itacuruba e comprendeva più di dieci villaggi», racconta il sacerdote romano per molti anni fidei donum in Brasile e ora parroco nella parrocchia di Sant’Agapito a Roma. «Quando sono arrivato a Floresta, ho trovato un abbandono affettivo terribile, dovuto anche al fatto che la comunità era stata sradicata dal luogo in cui si trovava per fare posto a un’enorme diga. Avevano messo sott’acqua anche il cimitero». Un dolore inascoltato che ha portato moltissime persone al suicidio. «È bastato stare lì con loro, ascoltarli con attenzione perché non si togliesse la vita più nessuno», ha spiegato il sacerdote. «Una persona che ti ascolta gratuitamente è una bomba atomica di bene».

La voce di don Paolo, quando racconta delle sue due missioni in Brasile, è appassionata. «La prima volta è stato dal 2008 al 2011, nella diocesi di Viana, nel Maranhão. Poi sono tornato per fare il parroco nel Pernambuco, dal 2014 al 2019». Due città a più di mille chilometri l’una dall’altra, ma entrambe situate in aree interne. «Fare il parroco lì è molto diverso, anche dal punto di vista della struttura della parrocchia, che comprende territori molto ampi». La visita ai villaggi è stata l’attività principale del missionario. «Erano abbandonati dallo Stato, per questo li andavo a trovare e stavo pochissimo in parrocchia. Pensate che alcuni villaggi distavano ore dalla casa parrocchiale e spesso anche i funerali li faceva una signora, con il rituale per i laici». In alcuni villaggi c’era spazio solo per l’ascolto, in altri con comunità più strutturate c’erano anche percorsi di catechesi «e io andavo solo per celebrare la Messa». In molte zone «i cammini sono in mano ai laici, che hanno una centralità molto maggiore rispetto a qui». L’altra faccia della medaglia, però, racconta di una situazione di grandissima violenza. «In ogni casa ci sono delle armi, e così un Venerdì Santo tentai di parlare loro di disarmo. Misi una cesta sotto l’altare, e dissi che la chiesa sarebbe rimasta aperta perché chi avesse voluto avrebbe potuto consegnare la propria arma. Ecco, non solo nessuno ha consegnato armi, ma ho trovato davanti a me il gelo persino tra i catechisti».

Eppure, in un contesto così difficile, ha visto «gesti di generosità impressionanti», sostenuti da una «fede commovente». «Ho visto gente che ha accolto in casa una persona anziana sconosciuta salvandola dalla morte. Altri hanno preso con loro dieci fratellini in difficoltà e li hanno cresciuti come loro figli». Da tre anni don Paolo è parroco della parrocchia di Sant’Agapito, e ha cercato di riportare nella pastorale ordinaria le intuizioni sperimentate nella sua esperienza da missionario. «La comunità si accorge che sono stato in Brasile perché sorrido moltissimo e accolgo tutti senza pregiudizi. Mi riconoscono l’abitudine a parlare alla gente semplice, a far sentire alle persone la festa dell’accoglienza». Dal punto di vista pastorale, qui a Roma, «mi impegno costantemente ad “applicare la tenerezza”, a trasmettere questo senso di grande dolcezza a tutti. Perché la gente deve sentirsi accolta, mai abbandonata».

16 maggio 2023