Don Angelelli (Cei): se il malato è accompagnato non vuole l’eutanasia

L’incontro sul fine vita nella parrocchia del Santissimo Sacramento. Binetti: «Legge sulle cure palliative non ancora applicata pienamente dopo dieci anni»

«Si parla di eutanasia come se fosse un’emergenza nazionale. Ne è stata fatta una questione politica, umana, di fede ma la realtà è che si tratta di un tema enormemente sovraesposto perché chi è accompagnato in maniera dignitosa, chi è sollevato dal dolore, chi non è solo non chiede di morire anticipatamente». Don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della salute, già cappellano al policlinico Tor Vergata, chiarisce subito che è l’ascolto, la presenza, il rispetto, la comprensione nei confronti del malato a fare la differenza. E rimarca che anche la legge 219 del 2017 sul testamento biologico – disposizioni anticipate di trattamento, a due anni dall’entrata in vigore ha riscosso l’interesse di circa sessantamila italiani. Occasione per parlare del tema, l’incontro “Riflessioni sui temi del fine vita” svoltosi sabato primo febbraio nella parrocchia Santissimo Sacramento a Tor de’ Schiavi. La serata, organizzata dal gruppo culturale, ha visto al tavolo dei relatori anche la senatrice Paola Binetti, vicepresidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani.

Eutanasia, disposizioni anticipate di trattamento, accanimento terapeutico, cure palliative e terapie del dolore gli argomenti trattati. Tematiche di stretta attualità sulle quali però c’è anche molta confusione. L’incontro, moderato da Angela Basile, docente di Etica e bioetica all’Università Tor Vergata, si è svolto alla viglia della Giornata per la vita, a pochi giorni dalla Giornata mondiale del malato e, come ha ricordato la senatrice, dalla Giornata nazionale degli stati vegetativi, istituita per il 9 febbraio ma poco celebrata. A fare gli onori di casa il parroco don Maurizio Mirilli, il quale ha ricordato che la comunità si occupa di tutte le tematiche inerenti alla vita «perché Cristo si è fatto uomo ed è venuto ad illuminare tutti i nostri vissuti umani».

Don Massimo ha più volte ripetuto che il malato non vuole essere lasciato solo e in questo contesto è fondamentale il ruolo della comunità cristiana. Come ha recentemente ricordato Papa Francesco ai partecipanti all’assemblea plenaria della Congregazione per la dottrina della fede, da come le persone vengono accompagnate alla fine della vita terrena si può valutare l’indice di civiltà di un Paese. «Ho l’impressione che siamo un pochino distratti rispetto a tante solitudini che sono nei nostri territori, nei nostri condomini, nelle nostre strade – ha detto don Angelelli – Siamo tutti chiamati ad una maggiore presenza». Altri termini sui quali ha richiamato l’attenzione sono stati “cura” e “guarigione”. «Non esistono persone incurabili, esistono persone inguaribili – ha spiegato -. Ci sono tante patologie da cui non si può guarire ma tutti hanno diritti e possono e devono essere curati».

Quest’anno ricorrono i dieci anni di promulgazione e «inapplicazione» della Legge 15 marzo 2010, numero 38, concernente le “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” emanata in seguito alla morte di Eluana Englaro e sulla quale si è concentrato l’intervento di Binetti. «In alcune regioni sono stati attivati gli hospice per l’accoglienza dei pazienti giunti “all’ultimo miglio” – ha detto -. Ma la legge parla anche di potenziare l’assistenza domiciliare con le cure palliative in modo che il paziente possa rimanere in un contesto familiare, ma questa di fatto non è mai partita perché ha bisogno di un enorme investimento di energie culturali, di tempo, e di personale». Altro campo di intervento mai applicato è quello che riguarda le terapie del dolore, «un diritto del paziente». Nei prossimi mesi, ha annunciato Binetti, «sarà portata avanti una battaglia per dire che non vogliamo l’eutanasia, vogliamo vivere, non vogliamo l’accanimento terapeutico ma neanche l’abbandono terapeutico».

Per don Massimo «non c’è nessuna volontà ad applicare questa legge perché c’è una mentalità strisciante che pensa che non valga la pena spendere soldi per chi deve morire». L’Ufficio per la pastorale della salute ha lavorato per l’apertura di altri hospice – in Italia quelli cattolici sono 14 – ma tanti i “no” ricevuti. «Il problema di fondo – le parole del sacerdote – è una mentalità squisitamente economica che ha ridotto l’uomo a una produttività o a un costo». Infine dal sacerdote è arrivato l’appello a non preservare i bambini e gli adolescenti da temi quali la malattia e la morte, a non allontanarli dai familiari malati. «Non anestetizzate l’idea della morte – ha concluso -. I bambini devono conoscere la sofferenza come una dimensione normale della vita».

3 febbraio 2020