Don Andrea Santoro, una vita nel segno del martirio

Al Seminario Maggiore la giornata nel decennale della morte del fidei donum ucciso in Turchia, con il vescovo Lojudice. Le testimonianze di parrocchiani e amici

Al Seminario Maggiore la giornata nel decennale della morte del fidei donum ucciso in Turchia. Le testimonianze di parrocchiani e amici. La Messa del vescovo Lojudice

«Don Andrea aveva l’atteggiamento dei grandi santi, dei mistici, che di fronte al mistero di Dio scommettevano e si facevano trascinare in alto». Il vescovo Paolo Lojudice ha usato queste parole per commemorare don Andrea Santoro, il sacerdote fidei donum ucciso a Trabzon, in Turchia, nel 2006, presiedendo ieri, domenica 22 maggio, la Messa nel decennale della sua morte, nella cappella del Seminario Maggiore. «Il segno potente del martirio ha caratterizzato tutta la sua esistenza – ha ribadito il vescovo – e per questo siamo qui a pensarlo, a rimettere in gioco le sue lettere e i suoi testi».

Una giornata, quella del 22 maggio, organizzata in collaborazione tra Vicariato di Roma, Associazione Don Andrea Santoro e associazione Finestra per il Medio Oriente per ricordare l’aspetto pastorale della vita del sacerdote, raccogliendo e dando voce ad ex parrocchiani, figli spirituali e amici, tra momenti di preghiera, testimonianze e filmati. Alla presenza, tra l’altro, della sorella Maddalena. Tutto per ricomporre come in un mosaico un ritratto profondo e articolato della spiritualità del sacerdote, offerte da chi Don Andrea lo ha conosciuto in prima persona. «Don Andrea era un prete pastore – ha dichiarato don Fabio Pieroni -: guardando le sue esperienze alcuni temi emergono continuamente e maturano. Ma per ognuna delle persone che ha incontrato c’è stata una rottura degli schemi, qualcosa di speciale. Per me la sua è una parola profetica: non parlava di una Chiesa utopistica, immaginata, teorica, ma sapeva farla con le persone che c’erano».

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Testimoni come Concetta Licitra e Michele Clementelli della parrocchia romana della Trasfigurazione ricordano: «Partecipava alle attività del quartiere con il sorriso, era presente. Incontrava molti non credenti e ripeteva spesso che la Chiesa deve fare accoglienza verso chi ha più bisogno. Forte poi era la fraternità tra preti e laici». Enrico Di Stefano, della parrocchia di Gesù di Nazareth, a Roma, rivela che «quando fu ucciso si cercarono le ragioni dell’omicidio. Non so cosa hanno trovato ma sentendo le parole del capo della Digos la sola cosa che ho intuito è che era uno dei sacerdoti che chiunque vorrebbe accanto. Cercando nel pc hanno trovato solo l’animo e lo spirito di una persona che amava il prossimo. Forse fu quella la ragione del suo assassinio». Giampiero Cardillo, della parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio, rievoca come «una volta ottenne una cospicua eredità da una signora e la impiegò in un programma per la Chiesa che richiedeva ancora più soldi, a cui anche noi famiglie abbiamo provveduto. Con lui c’era catechesi in ogni cosa, anche il denaro doveva diventare qualcosa di educativo».

Dalla stessa parrocchia di Giampiero vengono anche Piera Marras e Luciana Papi, che hanno trascorso alcuni periodi con lui in Turchia, ad Urfa e Trabzon, e che rammentano: «Quelle giornate furono piene di significato ma nient’affatto semplici. Nelle difficoltà della lingua diceva che la presenza femminile era molto importante, rappresentava un “canale preferenziale” per tessere amicizie». Nella sua omelia, monsignor Lojudice ha ricordato ancora: «Il nostro Dio non è solitudine ma comunità, famiglia. Un’esperienza che Andrea ha sentito vicino a sé con forza e intransigenza, al punto di scegliere di andare a vivere in un contesto ostile. La sua era una sfida che andava oltre: toccava il cuore della gente con la forza di una Presenza e Parola». (Francesco Gnagni)

23 maggio 2016