Don Andrea Santoro, testimone di «un Dio inerme»

A Santa Croce in Gerusalemme la Messa nel 14° anniversario dell'uccisione del parroco romano fidei donum in Turchia, presieduta dal vescovo Palmieri

«Don Andrea Santoro ha testimoniato la bellezza del Vangelo di Gesù fatto carne. Ha vissuto la concretezza delle relazioni, anche quelle più difficili e ostinate. Nessuna esibizione di potere e di sapienza ma il mistero di Dio rivelato nel massimo della prossimità». A quattordici anni esatti dalla morte di don Andrea Santoro, «profondamente legato alla schiera dei martiri», queste le parole del vescovo Gianpiero Palmieri, incaricato diocesano per la cooperazione missionaria tra le Chiese, che ieri sera, mercoledì 5 febbraio, nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme ha presieduto la celebrazione eucaristica in memoria del sacerdote romano fidei donum ucciso mentre pregava nella chiesa di Santa Maria a Trabzon, in Turchia. Era tornato in Anatolia da pochi giorni dopo un breve soggiorno a Roma e il pomeriggio dell’omicidio aveva da poco celebrato la Messa. Due proiettili lo hanno raggiunto mentre meditava tenendo tra le mani la Bibbia in turco che, trafitta da un colpo, porta ancora oggi i segni del martirio. Quella Bibbia ora è esposta in una teca nella parrocchia Gesù di Nazareth, guidata per 12 anni da don Andrea.

Nel giorno in cui la Chiesa ricorda la memoria di Sant’Agata, giovane martire catanese, Palmieri ha rimarcato che don Andrea «è unito a coloro che per testimoniare il Vangelo hanno confessato fino alla fine il nome del Signore». Durante la celebrazione, alla quale hanno partecipato le sorelle di don Andrea, Imelda e Maddalena, numerosi amici e figli spirituali del missionario, il vescovo ha letto alcuni brani di una lettera di don Santoro contenuta nel libro di Francesco Castelli “Il Dio inerme. Storia di don Andrea Santoro”, edito da San Paolo. Per il sacerdote fidei donum «la complessità del Medio Oriente non è legata al petrolio o alla posizione strategica ma alla sua anima religiosa. Il Dio che “si rivela” e che “appassionatamente” si serve è un Dio che divide, un Dio che privilegia qualcuno contro qualcun altro e autorizza qualcuno contro qualcun altro. In questo cuore nello stesso tempo “luminoso”, “unico” e “malato” del Medio Oriente è necessario entrare in punta di piedi, con umiltà ma anche con coraggio». Don Andrea, ha spiegato Palmieri, aveva compreso profondamente che «difronte a un Dio complesso del Medio Oriente, i cristiani sono chiamati a una vocazione particolare, quella di testimoniare il Dio dei martiri. È così che i martiri conquistano il cuore del mondo, testimoniando un Dio inerme, ed è così che don Andrea ha conquistato anche il nostro cuore».

Tra i concelebranti anche monsignor Enrico Feroci, rettore del Seminario della Madonna del Divino Amore, che con don Andrea Santoro ha frequentato il seminario minore. Il Vangelo è stato il filo rosso che ha cucito tutta la vita di don Santoro. Amava il suo sacerdozio, era aperto e accogliente con tutti e a tutti voleva solo portare Dio. Nell’ultima lettera scritta la sera prima dell’omicidio e indirizzata al biblista Valdo Bertalot, segretario generale della Società biblica in Italia, gli chiedeva 28 copie della Bibbia in diverse lingue – aramaico, ebraico, armeno, russo, cinese, turco, iraniano – perché, spiegava, aveva «pecorelle di ogni dove» e lui cercava di parlare la lingua di ognuno, anzi «di dare la possibilità a Dio di parlare a ognuno con la propria lingua, in mancanza di una visibile e manifesta pentecoste». Ai parrocchiani di Santi Fabiano e Venanzio – dove fu parroco dal 1994 al 2000 -, in un’altra missiva letta durante la celebrazione, raccomandava di «allontanare ogni divisione, discordia, malevolenza, pigrizia, disprezzo» lasciando spazio «alla comunione e alla stima reciproca». Durante la Messa si è pregato affinché sull’esempio di don Andrea i fedeli siano disposti a mettere in gioco la propria vita «per realizzarla pienamente ed essere non solo bravi cristiani ma santi» e che la sua «testimonianza eroica» produca «germogli di giustizia e di fraternità».

6 febbraio 2020