Don Andrea Santoro, «martire delle porte aperte»

La Messa nel 18° anniversario del martirio, a Trabzon, il 5 febbraio 2006. Il presidente dei vescovi turchi Kmetec: «I frutti del suo sacrificio li vediamo nella fede»

L’esempio e l’eredità spirituale di don Andrea Santoro, il parroco romano fidei donum ucciso a Trabzon, in Turchia, il 5 febbraio 2006, vivono ancora nella memoria di molti. Dei fedeli seguiti a Roma che  lunedì 5 febbraio, nel diciottesimo anniversario del suo martirio, hanno gremito la chiesa dei Santi Fabiano e Venanzio, dove le sue spoglie riposano dal dicembre 2022. La comunità di Villa Fiorelli fu l’ultima guidata da don Andrea tra il 1994 e il 2000, prima di partire per la Turchia. La sua testimonianza di fede è ancora viva a Trabzon, come ha spiegato, a margine della liturgia, l’arcivescovo di Smirne Martin Kmetec, presidente della Conferenza episcopale turca, che l’ha presieduta. «Ricordarlo – ha affermato – significa essere fedeli a ciò che lui ha vissuto. La fedeltà alla Chiesa, a Cristo, alla sua vocazione sacerdotale, l’essere forti anche nella debolezza come dice san Paolo».

L’arcivescovo non conosceva bene il prete romano, arrivato in Turchia un anno prima di lui. Lo aveva incontrato solo una volta ma ha «tanto sentito parlare di don Santoro, da tutti ricordato come martire. I frutti del suo sacrificio li vediamo nella fede. Don Andrea ci ricorda che ogni sacrificio, ogni atto di fedeltà a Cristo, di amore fraterno, di speranza, è qualcosa che contribuisce alla vita della Chiesa». Parlando dell’attacco di domenica 28 gennaio alla chiesa italiana di Santa Maria a Sariyer, a Istanbul, durante il quale un uomo è stato ucciso, il presule – che in questi giorni è a Roma con i vescovi della Conferenza episcopale  turca per la visita “ad limina” – ha affermato che la delegazione è arrivata in Italia «con sentimenti di tristezza. Ci sono gruppi che non ci vogliono bene, ma siamo fermi nella speranza. Chiediamo protezione e sicurezza per le nostre chiese, l’intercessione degli apostoli Pietro e Paolo e speriamo nel sostegno dei diversi dicasteri. Vogliamo inoltre esprimere il nostro amore per Papa Francesco e per la Chiesa. Che questa visita sia gesto di fedeltà e di comunione».

Anche a Trabzon hanno celebrato in memoria di don Andrea. Lo ha rimarcato il vicario apostolico di Istanbul Massimiliano Palinuro, che è stato parroco nella chiesa di Santa Maria dove don Andrea fu ucciso mentre pregava negli ultimi banchi. «Posso testimoniare che la comunità di Trazbon continua a essere sostenuta dall’esempio di don Andrea – ha detto -. Guardando alla sua figura trae forza nei momenti difficili e anche noi sacerdoti e vescovi comprendiamo la necessità di costruire ponti di dialogo seguendo il sue esempio. Non è stato solo un coraggioso testimone del Vangelo – ha continuato – ma anche un costruttore di ponti. Diceva sempre che la Chiesa è in Turchia per celebrare la liturgia della porta, cioè impegnarsi ad accogliere e a mantenere le porte aperte, anche quando c’è paura e tentazione di sbarrare la porta». A tal proposito ha dichiarato che dopo l’attacco del 28 gennaio gli è stato chiesto di mantenere chiuse le chiese almeno in questo periodo. «Ho pensato a don Andrea – ha commentato -. Ho ricordato il martire delle porte aperte. La Chiesa che si chiude in difesa e si lascia vincere dalla paura è una Chiesa condannata a morire. Il suo esempio ci incoraggia a mantenere le porte aperte. Questa è la sua eredità, che diventa programma ecclesiale quando, come lui, ci si impegna ad amare i nemici e chi è ostile».

Tra i concelebranti, il vescovo Paolo Bizzeti, presidente di Caritas Turchia e vicario apostolico dell’Anatolia – che ha incentrato l’omelia sul rapporto concreto e sulla relazione che ogni fedele deve avere con Cristo -, il gesuita Antuan Ilgit, vescovo ausiliare del vicariato apostolico di Anatolia, gli ausiliari di Roma Paolo Ricciardi, Benoni Ambarus e Riccardo Lamba il quale ha ricordato l’ultimo incontro con don Andrea, avvenuto 15 giorni prima del suo omicidio. Presente anche il cardinale Enrico Feroci, tra i banchi come le sorelle di don Andrea, Imelda e Maddalena Santoro. Quest’ultima è spesso invitata in altre diocesi italiane per parlare di don Andrea. «Presentiamo il suo ministero in quattro fasi ricostruite dal suo archivio composto da lettere, diari, documenti – ha spiegato -. Ne emerge il suo amore per il sacerdozio. Per arricchire il suo ministero aveva anche seguito corsi universitari di psicologia, filosofia, pedagogia». In particolare, dai documenti che vanno dai primi anni ’80 al ’93, anni in cui don Andrea fu parroco a Gesù di Nazareth, a Verderocca, dove fece costruire la “chiesa di mattoni”, emerge il suo amore forte per la Chiesa. «Diceva sempre che essere Chiesa è molto più importante dell’avere una chiesa», ha ricordato Maddalena.

7 febbraio 2023