“Divorzio breve”, associazioni famigliari sulle barricate

Se la separazione è consensuale si potrà divorziare in soli sei mesi. Emma Ciccarelli: «Lo Stato vuole lavarsene le mani»

Se la separazione è consensuale si potrà divorziare in soli sei mesi. Emma Ciccarelli: «Lo Stato vuole lavarsene le mani»

La legge sul cosiddetto “divorzio breve”, approvata mercoledì 22 aprile dalla Camera dei Deputati con 398 sì, 28 no e 6 astenuti, lascia l’amaro in bocca a tante associazioni famigliari, nazionali e regionali. Se la separazione è consensuale in soli sei mesi si potrà divorziare: tempi record, dunque, rispetto ai tre anni previsti dalla legge Fortuna-Baslini della metà degli anni Sessanta.

Dietro ai dettagli tecnico-giuridici, si nasconde una visione antropologica tacita, che il Forum delle associazioni Famigliari del Lazio rigetta, attraverso le parole della presidente Emma Ciccarelli. «Abbiamo bisogno di credere che qualcosa sia per sempre e non “per sempre finché dura”, per citare un titolo di un film di Carlo Verdone. Lo Stato vuole lavarsene le mani delle questioni relazionali, che sono invece la parte più importante della vita delle persone. Maggiore libertà non porta maggiore felicità. Le ferite di una relazione andata a male rimangono. Avremmo preferito che lo Stato investisse sulla prevenzione. Come per esempio lavorare sulla stabilità della coppia, avere degli sportelli che aiutino i coniugi. Spesso i motivi non sono così gravi, tali da mandare a monte una relazione. Le relazioni non sono un contratto di compravendita».

L’obiezione dell’associazione laziale non può essere archiviata come “semplicemente cattolica” e quindi anti-laica. «Io sono consulente famigliare – prosegue Ciccarelli – e al mio sportello arrivano persone di ogni credo religioso. La mia esperienza me la sono costruita sul campo, incontrando le lacerazioni che un divorzio lascia sulle persone, a prescindere dalla loro fede. La mia consapevolezza viene dai bisogni dell’uomo». A favore del nuovo provvedimento non vale nemmeno l’argomento del risparmio nella voce di “cancelleria giudiziaria”. «Le persone – conclude la presidente del Forum regionale delle associazioni famigliari – avranno criticità maggiori e avranno bisogno di supporto psicologico, quindi crediamo che quello che risparmieremo in giustizia lo rispenderemo in sanità».

Che la contrarietà al “divorzio breve” non sia una posizione dettata dalla fede cattolica, lo sottolinea anche Giovanna Rossi, docente di Sociologia della famiglia e direttore del Centro di ateneo “Studi e ricerche sulla famiglia” all’Università Cattolica di Milano: «Non si tratta di distinguere tra laici e cattolici, ma difendere un’istituzione laica e antica, che prevede un impegno pubblico di stabilità e durata. Stiamo invece assistendo a una progressiva perdita di soggettività sociale della famiglia nel nostro Paese».

Stupisce che la sollecitudine (per disfare una famiglia) non trovi corrispondenza nel creare le condizioni per fondarne una, come sottolinea don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Conferenza episcopale italiana. «Vorremmo che lo stesso impegno messo nell’approvare il “divorzio breve” le istituzioni lo rivolgessero anche a chi vuole fare famiglia: purtroppo, però, così non è. Nazioni molto più laiche della nostra hanno maggiori sostegni alla vita di coppia». La velocità nell’ottenimento del divorzio svaluta lo stesso valore dell’unione. «Se nello stesso anno si potrà essere sposati a due persone differenti – conclude don Gentili – paradossalmente quello sposarsi viene privato di significato». «Lentamente ma inesorabilmente si vanno togliendo i sostegni a una idea forte di matrimonio come valore costituzionale», rincara la dose Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari. «È come se il legislatore dicesse: “Fare famiglia è un affare privato – prosegue Belletti – quindi nel bene e nel male, cari cittadini dovete arrangiarvi. Non aspettatevi niente dall’intervento pubblico. Sono solo affari vostri”. Quello in atto è un percorso verso una società che privilegia legami sempre più leggeri».

In parlamento «sono stati solo 28 a votare contro – tira le somme Giuseppe Butturini, presidente, con la moglie Raffaella, dell’Associazione nazionale famiglie numerose – mentre crediamo che chi, come i cattolici, crede nel matrimonio deve fare di tutto per difenderlo dicendo “no” a leggi che minano il fondamento della società». Sei mesi sono inoltre davvero pochi per tentare un avvicinamento dei due coniugi. «Che spazio resta, in un tempo così breve – si domandano Rita e Stefano Sereni, responsabili dell‘Area famiglia e vita dell‘Azione Cattolica italiana (Ac) – per la maturazione di un eventuale perdono, perché nel conflitto possa entrare un po‘ di misericordia? I casi di riconciliazione non sono tantissimi, ma non sono nemmeno così pochi. La riconquista dell‘unità familiare andrebbe favorita e non impedita a monte».

Il provvedimento, infine, non tutela in nessun modo la “parte debole”, i bambini. «I danni del divorzio sui minori abbandonati a se stessi – sottolinea Marco Griffini, presidente dell’Associazione Amici dei bambini (Aibi) – sono sotto gli occhi di tutti. Ancora una volta si tiene conto degli adulti e non dei minori. Siamo in una cultura “adulto centrica”, in base alla quale i diritti dei minori spariscono di fronte agli interessi degli adulti. Che senso ha un divorzio breve nell’interesse dei minori? È tutto fatto per gli adulti».C’è poi il problema del significato diseducativo del provvedimento di fronte alle nuove generazioni. «La soluzione ai problemi familiari – sottolinea Salvatore Martinez, presidente di Rinnovamento nello Spirito – sta nel perdono, non nella separazione, sta nel ribadire le ragioni dell’unione più che facilitare la capacità di divisione. Cosa facciamo davanti alla difficoltà soprattutto delle nuove generazioni a considerare che un progetto matrimoniale è per sempre e come le aiutiamo a conservarsi dentro questa fedeltà?».

 

24 aprile 2015