Disabili “abbandonati” in ospedale: le case famiglia scrivono a Raggi

Le nuove convenzioni del Comune prevedono, in caso di ricovero, retta ridotta o sospesa. «Ma non possiamo abbandonare queste persone fragili»

Se l’ospite disabile di una casa famiglia va in ospedale, la sua retta viene “rivista” o addirittura sospesa: è quanto prevede la convezione appena inviata dal Comune di Roma alle case famiglia. Una novità che indigna le associazioni che gestiscono queste strutture: «Quando una persona con disabilità viene ricoverata – spiegano – le spese per la casa famiglia aumentano, non diminuiscono. Ma soprattutto, avete mai trascorso giorno e notte in un ospedale accanto a una persona fragile?». Per questo Casa al plurale, il coordinamento delle associazioni che a Roma gestiscono le case famiglia per ragazzi e adulti con disabilità, ha indirizzato una lettera aperta al sindaco Raggi che si apre con la storia di Marco, che ha 50 anni, una disabilità gravissima e vive in una di queste strutture. «Non è autonomo in nulla: per mangiare, vestirsi, per andare al bagno serve una persona vicina a lui. È il mestiere faticoso e bellissimo dell’operatore sociale: un factotum capace di “esserci”. È il verbo “essere” che caratterizza il profilo professionale di un buon operatore. Saperci essere. Sempre, in tutte le occasioni», spiega Casa al plurale.

Marco in ospedale, operatore sempre con lui. «A febbraio Marco sta male, la febbre sale: 38, poi 39. Analisi: c’è una infezione – si legge nella lettera -. Di corsa in ospedale, dove viene ricoverato. Dovrebbe fare una tac. Una tac particolare una “uro tac in sedazione”, ma non esiste ospedale in grado di farla. Marco resta ancora in ospedale, per tanti giorni. Sono necessari accertamenti, flebo, cure. Ogni giorno, ogni notte un operatore della casa famiglia dove vive Marco è al suo fianco. Marco non ha un papà né una mamma. Marco è un adulto, ma con i bisogni, quelli primari, di un bambino piccolissimo. A chi verrebbe in mente di dire che un bimbo deve essere lasciato da solo in ospedale? Ve lo immaginate un bambino di tre anni lasciato da solo in ospedale? Andrebbe contro il buon senso, contro le linee guida, contro la Carta dei diritti dei bambini in ospedale e si potrebbe ipotizzare addirittura il reato (591 cp) di abbandono di incapace!».

La Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale. Il punto è proprio questo: il rispetto di diritti riconosciuti e sanciti nella Carta dei diritti delle persone in ospedale, in cui sono raccolte tutte le buone prassi, redatte da un comitato scientifico. Una Carta adottata già in diverse regioni d’Italia ma che ora viene ignorata e violata dal Comune di Roma che, «senza ascoltare nessuno, ha scritto le nuove convenzioni per le case famiglia, nelle quali si prevede che “in caso di malattia e/o ospedalizzazione, verrà corrisposta una retta pari all’80% per un’assenza fino a 7 giorni, al 50% se l’assenza si protrae fino a 30 giorni, nel caso in cui l’assenza superi i 30 giorni non verrà corrisposta alcuna retta”. Caro sindaco, caro Comune di Roma, ci sarebbe piaciuto incontrarti e parlarne – protesta Casa al Plurale -. Ci saremmo aspettati una convocazione per la coprogettazione delle nuove regole. E, invece, ci arriva una comunicazione in cui si dice: “Se vuoi gestire il servizio firma qui, entro 24 ore” e dove si dice praticamente di abbandonare le persone in ospedale da sole! Siamo certissimi che Lei, se avesse letto queste righe o se ci avesse ascoltati, mai avrebbe scritto una cosa simile. Le avremmo spiegato che quando Marco si è ricoverato, le spese per la casa famiglia sono aumentate, non diminuite!». Perché? Perché «in questi tanti giorni, a fianco a Marco c’è stato un operatore in più! Rispetto a quelli necessari in casa. E lo sa, sindaco, quanto costa tutto questo? Costa esattamente quattro volte l’importo di una singola retta». Il suggerimento è quindi che la convenzione sia rivista e corretta, prevedendo che «per ogni giorno di ricovero sarà riconosciuto, oltre alle rette normali, una ulteriore retta pari al quadruplo!». Anche perché – è la conclusione della lettera, «attendiamo, da davvero troppo tempo, che il Comune adegui le tariffe delle case famiglia a costo del lavoro che viene richiesto!».

2 luglio 2019