Dicembre 1986, il congedo di monsignor Venier

L’ultimo editoriale del direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali, che nel 1974 aveva dato vita alle pagine di Roma Sette

Mi si chiede se il mio «silenzio editoriale» di questo mese non sia dovuto a intenzioni aventiniane, per cause personali – di cui rendo grazie a Dio, perché il traguardo dell’età è simile al vello d’oro da conquistare e da spartire –; no, ma per una alternativa liturgica, imposta dall’Avvento, e per il bisogno di adattamento alle iniziative di carità verso i fratelli che il prossimo Natale impone. Avevo però nel cuore altre spine: quelle conficcate da una realtà storica, la nostra, in cui ci si smarrisce alla ricerca di un po’ di verità o di sincerità, d’un po’ di rispetto e di simpatia reciproca, pressati come si è da cronache orripilanti, dove imperano armi commercializzate, mafie, omicidi, droghe, rapine, sequestri, evasioni carcerarie e fiscali, e tante, tante menzogne.

Come si poteva scrivere, evadendo dalle chilometriche diatribe sull’intesa, sul diritto di scelta, sull’ora alternativa, sulle modifiche richieste per l’insegnamento della religione nelle scuole, e la prepotenza con cui l’«ora della discordia» è stata reclamizzata, esasperata, banalizzata, trasformata in una panacea laica, senza domandarsi perché il rispetto verso tutti e verso tutte le libertà di coscienza debba diventare irrispettoso della grandissima maggioranza? perché un giusto senso della democrazia debba diventare ingiusto condizionamento di chi, in maggioranza, intende avvalersi di un sacrosanto, anche se pluriforme, diritto?

Come si poteva scrivere, senza dire il proprio fastidio – che è quello della stragrande maggioranza degli italiani – nei confronti dei logorreici piagnistei dei radicali, per ottenere una meta numerica che permetta la loro sopravvivenza; quando si aggrappano ad una larva di democrazia e di pacifismo, mentre la loro stessa violenza verbale e menzognera, è peggiore d’ogni altra sopraffazione; quando il loro opportunismo li porta ad abusare di voci estremamente e dolorosamente umane – come la fame, la pace, la giustizia, i casi drammatici: delle vite pericolose (per le madri) e in pericolo (per la stessa incolumità fisica o sociale dei figli) o delle famiglie in crisi per casi limite – per tessere i loro lugubri riti di destabilizzazione delle istituzioni e di amoralità?

Che farsene d’un partito dalla democrazia ibrida, con scelte ideologiche ruspanti e chiassose, che vivono di ostinazione e sul panico altrui e patiscono per aver un posto al sole democratico con adescamenti per sottoscrizioni e tessere sulle piazze, telefoni familiari, interventi teleradiofonici, millantati protagonismi perfino col papa in piazza S. Pietro e le loro marce scomposte? D’accordo, anche l’alleanza col diavolo può diventare benefica, ma senza condividerne le diavolerie, o farsi correi, o passare per «fessi»!

Intanto, soffrivo nellamia situazione di credente – e credente in una Chiesa che si sforza, come nessuna e come non mai, di conoscere, testimoniare, stimolare tutto ciò che serve all’umanità più diseredata, perché ritrovi se stessa nella dignità, nella libertà, nella giustizia, nella verità, nell’affrancamento da ogni genere di povertà e di emarginazione – soffrivo perché viaggi densi di messaggi e di solidarietà come quelli del Papa, che si fermano inesorabilmente al filtro statico della cronaca (e spesso della cronaca minore) o perché eventi come quelli d’un 2° Sinodo romano, aperto ad ogni possibililtà di speranze, dovevano essere così pregiudizialmente cestinati dalla quasi totalità della stampa.

In questa attesa pre e post-natalizia, in cui ogni credente ritrova la sua infanzia interiore e sa godere d’ogni dono che valga bontà e fiducia, mi ha soccorso la notizia inviata da Mosca da Guido Colomba, corrispondente del Messaggero, il 17 dicembre scorso (voglio ricordare questa data come un segno profetico!), sul clima di «trasparenza», che si sta profilando nella Russia di Gorbaciov.

Portavoce in questo caso, il «poeta del disgelo», Evtushenko. Un poeta. Un poeta dalle ridondanti fantasmagorie che sembrano nuotare in una palingenesi continuata. Ma i poeti, come i profeti, abitano nell’anticamera della storia, sempre pronti ad origliare le mosse future. Che un suo articolo nella rivista Konsomolskaja Pravda prenda, nei confronti della religione e della stessa Chiesa cristiana, posizioni che finora erano anàtema e barbaro medioevalismo, non può non suscitare emozione e rivivente attesa. Ecco alcune frasi (con beneficio di cronista): «Da nessuna parte nella nostra legge è scritto che l’ateismo è inseparabile dal nostro Stato. Quest’ultimo è basato sulla alleanza dei comunisti con i non iscritti al partito, dei fedeli e degli atei». «L’ateismo deve rappresentare una delle manifestazioni delle libertà della. nostra società, come la fede e la non violenza». «Ora lo Stato sovietico è costretto a spendere cifre gigantesche per restaurare chiese, che sono state trasformate in depositi di patate o in stalle, dal vandalismo della cultura proletaria». «Quando, durante la notte di Pasqua, la nostra abile televisione mette in programma degli show, per divertire i giovani e per spostare la loro attenzione dalla cerimonia religiosa, che è più bella e poetica di qualsiasi altra riunione, io la interpreto come una nostra debolezza». I matrimoni civili: «Tutti gli sforzi dello Stato per organizzare cerimonie nuziali più belle e solenni di quelle fatte in chiesa, sono risultati inutili. Non siamo riusciti a fare niente di valido». «La Bibbia, il libro dei libri, è un monumento di enorme valore». «Non riesco a capire come mai la casa editrice statale ha pubblicato il Corano e non ha mai pubblicato la Bibbia. Senza conoscere la Bibbia, i giovani non possono conoscere molte cose sull’arte di Puskin, di Gogol, di Dostojevskij, di Tolstoi. Anche la poesia di Majakovskij è tutta compenetrata di metafore bibliche».

Lo dovranno ascoltare anche i nostri strateghi della scuola laica! Per noi è l’apparire d’una nuova stella. Ci auguriamo che questi insperati viandanti sappiano fermarsi, con essa, alla grotta di Betlemme. (di Elio Venier)

28 dicembre 1986