Dialogo tra ebrei e cristiani, «sospesi tra Scritture e realtà»

Nella Giornata, la riflessione con il rav Di Segni e il gesuita Renczes. Sullo sfondo, la guerra tra Israele e Palestina, riaccesa dall’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso

Il conflitto israelo-palestinese, che si è riacceso lo scorso 7 ottobre con il violento attacco di Hamas a Israele, è stato inevitabilmente oggetto di riflessione in occasione della Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, che si è celebrata mercoledì 17 gennaio. Nella diocesi di Roma in particolare ha avuto luogo alla Pontificia Università Gregoriana un incontro curato dall’Ufficio per l’ecumenismo, il dialogo interreligioso e i nuovi culti del Vicariato, a cui hanno preso parte il rav Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, e padre Philipp Gabriel Renczes, gesuita, decano della facoltà di Teologia della Gregoriana, già direttore del Centro Cardinal Bea per gli Studi Giudaici, co-organizzatore dell’incontro. Presente anche il vescovo Riccardo Lamba, delegato per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso.

Nel suo saluto introduttivo monsignor Marco Gnavi, responsabile dell’Ufficio diocesano, ha evidenziato l’importanza di affrontare, «sospesi tra il testo biblico e la realtà attuale», il tema scelto dalla Cei e dal Rabbinato d’Italia per la Giornata – “Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?” (Ez. 37, 1-14) – «nella prospettiva della speranza contro ogni antisemitismo». Gnavi ha inoltre invitato ad «ascoltare le riflessioni proposte come rappresentanti di comunità di fede a cui sta a cuore il futuro dell’umanità, senza la ricerca di risposte preconfezionate» e con la consapevolezza che «stiamo davvero vivendo un cambiamento d’epoca che ci pone di fronte a scenari difficili». La velocità delle informazioni e delle immagini spesso ci schiaccia, le semplificazioni ci vorrebbero lontani, ma, nell’analisi del referente diocesano, il tempo che viviamo richiede profondità, lungimiranza e solidarietà e la scelta di incontrarsi non è casuale.

Gli sviluppi della guerra nei luoghi della Terra Santa, «che si protraggono da 103 giorni» dando sfogo «a un grado inimmaginabile della violenza umana», per Renczes, «ci rendono non solo preoccupati» ma sembrano «averci riportato indietro di decenni, in termini di possibilità di dialogo interreligioso e di convivenza pacifica di culture, religioni e Stati differenti». Per questo, alla luce del testo biblico di Ezechiele, è importante per il religioso «tenere accesa la fiamma interiore che nei nostri cuori non si è ancora estinta», guardando al documento conciliare Nostra Aetate che evoca «il vincolo che lega il popolo del Nuovo Testamento con la stirpe di Abramo», essendo «grati perché molti fratelli ebrei anche italiani hanno accolto la mano che la Chiesa ha voluto tendere loro dopo secoli di marginalizzazione e di persecuzione, dopo i ghetti e dopo la Shoah», laddove «noi cattolici abbiamo potuto riconoscere e celebrare quanto il Signore ha dato al popolo eletto, portando alla luce la consapevolezza che l’eredità del popolo ebraico è comune alla nostra cultura». Ancora, Renczes ha esortato a essere «ambasciatori che denunciano con forza e chiarezza i tentativi di volerci dividere», compiendo «una lotta contro l’antisemitismo» e tentando di «costruire una speranza condivisa».

Forte l’intervento del rav Di Segni. Convinto che il testo biblico di Ezechiele, che racchiude la speranza della ricostruzione dell’unità del popolo ebraico nella terra di Israele, debba essere letto alla luce dei fatti odierni, afferma che tutti desideriamo la pace, ma per ottenerla davvero «gli operatori del male devono essere sconfitti come venne sconfitto il nazismo». Il rabbino ha commentato il «trauma» vissuto dal popolo ebraico il 7 ottobre scorso, parlando di come «le comunità ebraiche siano state colpite dalle modalità di reazione che sono venute anche dal mondo cattolico». Nello specifico ha osservato che le posizioni «di importanti teologi che hanno parlato di vendetta da parte degli Ebrei, hanno messo sullo stesso piano chi ha prodotto l’attacco e chi cerca di eliminare la ripetizione di un abuso». Ha stigmatizzato stereotipi negativi sul popolo di Israele, sospetti e preconcetti che se assecondati rischiano pericolosamente di recuperare «una vecchia esegesi cristiana di natura anti-giudaica» generando «passi indietro nel dialogo interreligioso». Per Di Segni, che ha chiesto «in amicizia di riflettere» su questo, si tratta di comprendere «se e come è possibile ricucire questa frattura che si è creata».

In chiusura, Gnavi ha però offerto una chiave di lettura che si discosta da questa visione, anzitutto perché la radicalizzazione e la polarizzazione suggerita dalla guerra tendono a spegnere l’empatia e l’orrore per la morte degli innocenti – il bambino ucciso resta tale anche quando è figlio della parte che si considera avversa – e, in secondo luogo, perché i termini con i quali si identifica l’altro perdono il loro significato storico e semantico. «Nazismo, genocidio, anche in riferimento ad altri teatri di guerra, vengono usati e abusati per definire il “nemico” e amplificare la distanza da qualsiasi ipotesi diversa dalla ricerca della pace – ha evidenziato -. Papa Francesco in maniera inequivocabile – si pensi al discorso di inizio anno al corpo diplomatico – ha deplorato l’orrore del pogrom perpetrato il 7 ottobre e lo sgomento per la distruzione e la morte degli innocenti a Gaza. In questa luce, anche la teologia e le comunità di fede ebraica e cristiana non possono non scegliere la prossimità nella lotta a ogni antisemitismo e nella preservazione dell’umanità, del popolo palestinese, non sovrapponibile ad Hamas, e dell’umanità intera. Il cammino percorso non si cancella, ma l’inedito e drammatico scenario attuale chiede piuttosto risposte nuove e coraggiose per non consegnare alle generazioni future un mondo in fiamme».

19 gennaio 2024