Dialogo ebraico-cristiano, al centro la sapienza del Qohelet

Al Museo ebraico la XXXII Giornata, con il rabbino capo Riccardo Di Segni e il cardinale José Tolentino de Mendonça. Accanto a loro il vescovo Selvadagi, delegato diocesano per l'Ecumenismo e il dialogo interreligioso. Il saluto del vicario De Donatis

È il libro biblico della maturità e dell’età adulta, foriero di uno sguardo sapienziale, capace di cogliere il significato profondo della vita dopo averne fatto esperienza nella sua totalità. Il Libro del Qohelet, uno dei cinque rotoli chiamati Meghillot su cui la Sinagoga medita in occasione di particolari festività liturgiche, ha orientato le riflessioni in occasione della XXXII Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, celebrata ieri sera, 21 gennaio, con un incontro organizzato dall’Ufficio diocesano per l’ecumenismo, il dialogo interreligioso e i nuovi culti. Svoltosi a porte chiuse a motivo dell’attuale emergenza sanitaria, è stato ospitato – per la prima volta – al Museo ebraico di Roma. Trasmesso in diretta su Telepace e i canali social della diocesi, ha visto la partecipazione del rabbino capo della Comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni e del cardinale José Tolentino de Mendonça, poeta, teologo, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa.

Ad aprire i lavori, il saluto del cardinale vicario Angelo De Donatis, riferito dal vescovo ausiliare Paolo Selvadagi, delegato diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso. «Consapevoli della nostra fragilità umana, specie in questo tempo particolare di pandemia, ci lasciamo volentieri interpellare dal libro del Qohelet, certi che il colloquio fraterno ci aiuterà a guardare avanti con speranza», ha auspicato il porporato. Tre i nodi sui quali si è sviluppato l’intervento di Tolentino de Mendonça, che ha ripreso e commentato «le tre tesi fondamentali del Qohelet, perché possono illuminare l’odierna crisi antropologica, di cui oggi si parla meno a motivo della crisi sanitaria, ma che si deve invece recuperare e affrontare».

In primo luogo, il porporato ha messo in luce il tema della «crisi della memoria e della trasmissione tra le generazioni», osservando come il testo sacro rimandi «alla ciclicità degli eventi naturali, come il ciclo del sole o il soffiare del vento che va e ritorna»: dovrebbero far riflettere su come «le generazioni si succedono senza una vera alleanza che unifica», laddove «oggi corriamo tutti senza passare il testimone, senza investire l’altro di quel necessario capitale di fiducia, facendoci percepire come alberi senza radici».

Di seguito, la constatazione che «è insensato fondare la ricerca di realizzazione su una visione materialistica – ha continuato il cardinale -, poiché tutto è vanità. Serve allora una visione sapienziale della vita nella sua totalità, quale è quella offerta dal Qohelet, altrimenti nella società dei soli consumi diventiamo analfabeti della vita». Infine, per Tolentino de Mendonça «abbiamo bisogno di comprendere cosa sia il tempo nella sua precarietà, che è anche offerta di opportunità, perché possiamo agire solo finché abbiamo tempo, senza lasciarci esclusivamente consumare dal suo scorrere». Rispetto a ciò, il Qohelet «illumina la crisi di maturazione attraverso la quale passa l’uomo contemporaneo – ha concluso il presule -, offrendo una proposta teologica: esiste il tempo di Dio, che ridimensiona il tempo umano, poiché il senso del tempo nella sua durata totale eccede le nostre limitate conoscenze».

Da parte sua, il rav Di Segni ha presentato dapprima la struttura del libro biblico, «composto da 222 versetti organizzati in 13 capitoli», mentre in un secondo momento ha trattato dei tre aspetti che interessano il testo – «attribuito al re Salomone» – da un punto di vista contenutistico. Infatti il pensiero del protagonista, «che non è affatto pessimistico come tradizionalmente si pensa riferendosi al Qohelet», evolve. «Dal momento dell’ascolto si passa a quello dell’esame e dell’analisi di una teoria e infine a quello della correzione e revisione della stessa», ha spiegato il rabbino capo. A dire che «le contraddizioni che sembrano caratterizzare il testo vanno invece risolte in primo luogo contestualizzando le parole usate – sono ancora le parole di Di Segni -, poi cogliendole come domande che invitano alla riflessione, non come certezze».

22 gennaio 2021