Diaconi permanenti, chiamati a portare il dono dell’amore che salva

L’ordinazione nella basilica lateranense, per le mani del vescovo Schiavon. Tre le “parole” consegnate: discernimento, accompagnamento e integrazione

L’ordinazione nella basilica lateranense, per le mani del vescovo Paolo Schiavon. Tre le “parole chiave” consegnate: discernimento, accompagnamento e integrazione

Giustino per professione si occupa di tutela dei diritti dei cittadini, per vocazione ha scoperto l’importanza del servizio. Danilo è un artista, dipinge miniature storiche da collezione. I suoi personaggi indossano una divisa, lui ha scelto invece di indossare la dalmatica. Le loro storie hanno incrociato quelle di altri tre uomini che hanno risposto alla chiamata del diaconato permanente. Sono tutti sposati, hanno tutti almeno due figli e un’età compresa tra i 44 e i 59 anni. Si chiamano Riccardo Baccani, Mario Barborini, Danilo Cartacci, Graziano Giannini e Giustino Trincia. Il vescovo ausiliare emerito di Roma, monsignor Paolo Schiavon, li ha ordinati, per imposizione delle mani, diaconi permanenti sabato 21 novembre nella basilica di San Giovanni in Laterano.

«Lo Spirito Santo – ha sottolineato il vescovo durante l’omelia – darà loro in abbondanza la sapienza dell’amore della Croce, il dono della fortezza e della pietà, il dono di una speranza ardente; lo Spirito Santo opererà un’armonica sintesi tra vocazione diaconale e vocazione familiare». Già, perché la comunità parrocchiale è anch’essa una famiglia. Lo sa bene Danilo, 46 anni, padre di tre figlie. «La mia vocazione è nata in parrocchia», a Santi Fabiano e Venanzio, racconta. «Ho vissuto la Chiesa come una famiglia allargata. In questi anni meditando mi sono accorto che il seme mi è stato posto dal Signore in una lectio divina durante un ritiro col gruppo famiglie. Mi ha colpito la figura del servo nella parabola del seminatore: il servo è colui che fa tutto per conto del padre ma partecipa alla festa della casa. Poi ho scoperto che questa figura è quella del diacono».

Anche Riccardo ha 46 anni e una famiglia numerosa: 4 figli. Di professione è imprenditore edile ma frequentando la parrocchia di Santa Margherita Maria Alacoque ha scoperto che «un dono ricevuto è qualcosa che non bisogna tenere per se stessi. Nel tempo ho capito che si riceve di più donando che ricevendo». Una famiglia numerosa è anche quella di Graziano, 44 anni e 3 figli: «La mia vocazione è nata da una chiamata del parroco di San Giuda Taddeo Apostolo che ha visto in me i semi di questa chiamata e mi ha avviato al discernimento vocazionale. La mia famiglia è stata felice di questa scelta fin dal primo giorno perché ne ha capito l’importanza. Ha sempre vissuto con me ogni decisione che abbiamo dovuto prendere». Anche Mario, della parrocchia di San Liborio, 59 anni, padre di due figli e impiegato civile al ministero della Difesa, ha accolto la chiamata al servizio del diaconato. Così come Giustino, che ha 58 anni e 2 figlie. Lui frequenta la parrocchia di Santa Maria Madre della Provvidenza. «Questa vocazione nasce da un lungo percorso da giovane nell’ambiente ecclesiale – racconta -. Poi sono diventato tiepido come cristiano, ma la vita mi ha dato alcuni segnali e ho cominciato a interrogarmi per comprendere meglio quello che stava succedendo. Così è nato il desiderio di conformarmi al modello di Cristo e di restituire qualcosa di quello che mi ha donato».

Ai cinque nuovi diaconi permanenti monsignor Schiavon durante l’omelia ha indicato i tre atteggiamenti pastorali di fondo che deve avere un diacono: il discernimento vissuto come servizio, l’accompagnamento e l’integrazione. Tre caratteristiche fondamentali per il loro servizio. «Occorre discernere per non arrivare a giudizi facili – ha spiegato il presule -: l’impegno è quello di far sperimentare la Chiesa come famiglia. Il discernimento ci rende capaci di vedere oltre i confini delle cose. Ma è altrettanto importante l’accompagnamento, cioè il desiderio di far giungere a ogni persona il dono dell’amore che salva. L’integrazione infine è quell’atteggiamento pastorale che non vuole escludere nessuno, anzi trova uno spazio vitale per tutti nelle possibilità concrete delle nostre comunità». (Filippo Passantino)

23 novembre 2015