Decreto Rilancio, la regolarizzazione (a metà) dei migranti
Braccianti, colf e badanti potranno chiedere un permesso di soggiorno temporaneo per lavoro. Anche i datori di lavoro potranno chiedere l’emersione di un rapporto irregolare. Flai Cgil: «Traguardo storico». Ero Straniero: «Importante ma parziale». Medu: «Il problema non è solo la regolarità»
«C’è un punto che voglio richiamare, che per molti può essere considerato accessorio, ma per me e per la mia storia è un punto fondamentale: mi riferisco all’articolo 110 bis sull’emersione del lavoro. Da oggi, per la scelta che ha fatto questo governo, gli invisibili saranno meno invisibili. Quelli che sono stati brutalmente sfruttati nelle campagne o nelle false cooperative, potranno accedere a un permesso di soggiorno per lavoro. Li aiuteremo a essere persone che ritrovano la loro identità e la loro dignità. Da oggi vince lo Stato, più forte della criminalità, più forte del caporalato». Con queste parole e un velo di commozione, il ministro Teresa Bellanova ha annunciato mercoledì sera, 13 maggio, durante la conferenza stampa sul dl Rilancio le misure contenute nel testo legate alla regolarizzazione dei migranti.
Cosa prevede il testo. Un punto molto dibattuto e controverso su cui la maggioranza ha faticato a cercare la quadra, tra chi premeva per un’estensione del provvedimento e chi ne voleva limitare settore di applicazione e durata. Alla fine il compromesso è stato trovato, dopo una serie di limature e non poche divergenze politiche. A poter usufruire del provvedimento saranno sia i lavoratori in agricoltura che le colf e le badanti (i settori sono agricoltura, allevamento, zootecnia, pesca, acquacoltura, assistenza alle persone con patologie o disabilità che ne limitino l’autosufficienza, e lavoro domestico). A poter richiedere la regolarizzazione saranno sia i lavoratori che i datori di lavoro. Nel primo caso il lavoratore per chiedere un permesso temporaneo di soggiorno (di sei mesi, rinnovabile) deve dimostrare di aver avuto già un permesso di soggiorno in Italia, scaduto al 31 ottobre 2019. Il costo della richiesta è di 160 euro. Nel secondo, il datore di lavoro potrà chiedere l’emersione di un rapporto di lavoro irregolare (anche con italiani). La presentazione dell’istanza di regolarizzazione comporta il pagamento di un contributo di 400 euro. In entrambi i casi i migranti devono essere stati identificati con fotosegnalazione prima dell’8 marzo del 2020 o devono poter dimostrare di aver risieduto in Italia continuativamente prima di quella data. Le domande di emersione di lavoro nero e la richiesta di permesso di soggiorno di sei mesi si potranno presentare dal 1° giugno al 15 luglio 2020. Le modalità verranno stabilite entro dieci giorni con un decreto del ministro dell’Interno. Restano fuori dall’ammissibilità della domanda i datori di lavoro condannati negli ultimi cinque anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Non sono ammessi neanche i migranti che abbiano già ricevuto un provvedimento di espulsione o condannati per reati o delitti contro la libertà personale, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, reclutamento di minori per attività illecite. Nei fatti dunque, il provvedimento resta limitato sia per settori che per beneficiari. Così come limitato nel tempo è il permesso di soggiorno che si potrà richiedere.
Un primo importante passo. Da subito le organizzazioni, che in questi anni hanno chiesto la regolarizzazione dei migranti presenti sul territorio, hanno saluto il provvedimento con soddisfazione. Per la campagna Ero straniero la misura, che prevede la possibilità per i cittadini stranieri senza documenti di essere regolarizzati in seguito alla stipula di un contratto di lavoro – anche se solo in alcuni settori -, rappresenta un «primo passo importante, seppur parziale, verso il riconoscimento dei diritti e la tutela della dignità di centinaia di migliaia di persone straniere presenti nel nostro Paese». Per i promotori della campagna, però, «per una reale efficacia dell’intervento, sarebbe stato necessario un allargamento quanto più possibile della platea dei beneficiari: innanzitutto non limitando l’accesso alla procedura di regolarizzazione prevista al comma 1 ai settori agricolo, di cura e lavoro domestico, ma aprendo anche agli altri comparti – sottolineano in una nota -. Troppo restrittivi poi i requisiti richiesti al cittadino straniero per poter chiedere il permesso di soggiorno di 6 mesi per cercare un lavoro, previsto dal comma 2: saranno pochissimi quelli che potranno accedervi. La garanzia di un contratto, in un qualsiasi settore, non è già un elemento sufficiente perché la persona assunta possa vivere dignitosamente e contribuire alla società? Che senso hanno queste limitazioni se l’obiettivo della misura è il contrasto dell’invisibilità, con tutte le gravi conseguenze sul piano economico, sanitario e di sicurezza sociale che tale condizione comporta?».
Anche per Giovanni Mininni, segretario generale della Flai Cgil, «la regolarizzazione dei migranti è senza ombra di dubbio un traguardo storico. Ci riteniamo molto soddisfatti – spiega – delle misure previste dal provvedimento, che potranno consentire di porre finalmente fine alla vergogna italiana dei ghetti con la possibilità di svuotarli grazie a un’accelerazione del Piano Triennale contro il caporalato e ad un lavoro sinergico tra ministero per il Sud e la Coesione territoriale, regioni, prefetture, Protezione civile e Croce Rossa. Nel decreto – spiega il segretario generale della Flai Cgil – sono previste tutte le azioni che potranno permettere a queste persone di avere finalmente una soluzione alloggiativa dignitosa che consentirà loro di seguire tutti i protocolli e gli accorgimenti necessari per prevenire il contagio da coronavirus. Ne va dell’interesse di tutti». La regolarizzazione dei lavoratori stranieri è «un atto di civiltà che stavamo chiedendo da quasi due mesi e non poteva più attendere», aggiunge Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra!. «Il provvedimento approvato in Consiglio dei ministri è dunque, visti gli equilibri politici attuali, un primo passo per garantire accesso alle cure, al lavoro e ad una vita dignitosa a centinaia di migliaia di persone invisibili – sottolinea -. Pur riconoscendo l’importanza della misura adottata, restano alcuni punti critici legati alla durata del permesso di soggiorno e alla mancata estensione della misura di regolarizzazione a tutti i lavoratori».
Più cauta la posizione di Medici per i diritti umani (Medu) che ricorda come l’irregolarità del soggiorno sia solo uno dei problemi dello sfruttamento in agricoltura. Molti dei braccianti nei ghetti del Sud, infatti, hanno un regolare permesso di soggiorno eppure lavorano in nero, sfruttati dai datori di lavoro. «Una rondine non fa primavera – scrivono in una nota -. Secondo la Coldiretti, sono 346mila i lavoratori stranieri regolarmente impiegati in agricoltura a livello nazionale, a cui si aggiungono le migliaia di braccianti stranieri in nero (regolarmente soggiornanti e non), molti dei quali vivono nei grandi ghetti del nostro Paese, come le 8mila persone raggiunte dalla clinica mobile di Medu negli insediamenti precari in Puglia (area della Capitanata) e in Calabria (Piana di Gioia Tauro). Di fatto, i 669 pazienti assistiti da Medu nel corso dell’ultima stagione di raccolta agrumicola in Calabria erano nella totalità dei casi giovani uomini provenienti dai Paesi dell’Africa subsahariana occidentale. Meno delle metà (46%) era in possesso di un regolare contratto di lavoro, nonostante il 92% dei braccianti fosse regolarmente soggiornante in Italia. Anche nei casi in cui è presente un contratto, inoltre, le irregolarità contrattuali e contributive rappresentano la norma. E d’altra parte, proprio in considerazione della regolarità del soggiorno della maggior parte dei braccianti assistiti nei ghetti e negli insediamenti informali del Sud Italia, chiediamo con forza che la sanatoria rappresenti solo il primo necessario passo di una serie di misure volte al contrasto della piaga dello sfruttamento lavorativo in agricoltura, che riguarda indistintamente regolari, irregolari e non di rado anche cittadini italiani, e che sia finalmente accompagnata da misure strutturali e di lungo termine volte in primo luogo a contrastare il lavoro grigio e nero, le irregolarità salariali e contributive, il caporalato, l’evasione fiscale, promuovendo il rilancio dell’intero comparto e incentivando i datori di lavoro che garantiscono il rispetto dei contratti nazionali e provinciali e la tutela della salute».
Per Intersos, il decreto non deve essere una misura spot: «Nei prossimi mesi terremo alta la nostra attenzione, continueremo a lavorare sul campo e nei campi per garantire il diritto alla salute dei braccianti. E, insieme continueremo a chiedere che non sia un provvedimento spot, figlio del compromesso che certo si legge in alcune scelte parziali, ma l’inizio di un processo di cambiamento reale e duraturo, che non risponda solo a un interesse economico e produttivo del momento ma promuova la piena dignità umana e del lavoro». (Eleonora Camilli)
15 maggio 2020