De Donatis: «”Non avere paura”, l’invito di Gesù agli apostoli»

Il cardinale vicario ha presieduto la Messa della 12ª domenica del tempo ordinario dalla chiesa di San Francesco d’Assisi a Ripa Grande. «Non temere il fallimento ma avere cura della fedeltà alla Parola»

Dalla Genesi all’Apocalisse il monito rivolto all’uomo di “non avere paura”, di “non temere”, è riportato centinaia di volte. Nel discorso missionario Gesù incoraggia gli apostoli a non lasciarsi influenzare dalla subdola malattia della paura, grande nemica della fede, e ancora oggi invita i suoi discepoli a liberarsi «dalle catene interiori che maggiormente imprigionano l’esistenza». Il vero discepolo di Cristo non deve temere neanche la morte fisica perché «è peggiore la morte dello spirito», che può concretizzarsi anche «nel presente del proprio impegno storico. Ad esempio la morte di chi svende ciò in cui crede per salvaguardare la propria vita da tutto ciò che la può minacciare». Nella 12ª domenica del tempo ordinario il cardinale vicario Angelo De Donatis ha ricordato che una delle paure che spesso paralizza l’uomo è quella del fallimento.

De Donatis, San Francesco a Ripa, messa 21 giugno 2020Il porporato ha presieduto la liturgia trasmessa in diretta su Rai 1 dalla parrocchia San Francesco d’Assisi a Ripa Grande, affidata all’ordine francescano dei Frati Minori. Con lui ha celebrato il parroco e guardiano del convento padre Massimo Fusarelli. Commentando il brano del Vangelo di Matteo nel quale per ben tre volte in poche righe Gesù esorta gli apostoli a “non temere”, il cardinale vicario ha rimarcato che una delle paure dalle quali Gesù mette in guardia è «il possibile fallimento al quale espone ogni missione vissuta nel nome del Signore». Cristo esorta a dire nella luce quello che comunica nelle tenebre e ad annunciare dai tetti quanto viene sussurrato all’orecchio. «Eppure – ha osservato il cardinale – spesso facciamo esperienza non solo di incontrare il rifiuto ma anche indifferenza, distrazione, noncuranza. Più che imbatterci nella manifesta ostilità delle tenebre che si oppongono alla luce, la nostra testimonianza sembra perdersi nella nebbia del disinteresse, nella superficialità di un ascolto che non presta attenzione, nella banalità di una recezione che sembra impermeabile, tanto da lasciarsi scivolare addosso ogni provocazione senza che nulla cambi nella propria vita».

De Donatis, messa 21 giugno 2020La sollecitazione di Cristo è accompagnata dalla promessa che la testimonianza autentica porterà sempre frutto. «La parola del discepolo detta con fedeltà al Vangelo manifesterà sempre la sua fecondità – le parole del porporato -.  Anche quando può apparire improduttiva, fallimentare, non rimarrà senza frutto, verrà alla luce, rivelerà la sua fecondità contro ogni apparenza e al di là di ogni previsione». Da qui l’invito a non preoccuparsi «dell’efficacia dell’impegno» ma ad avere cura «della fedeltà alla Parola del Signore, avere cura della trasparenza della testimonianza». Il discepolo che agisce seguendo la volontà del Signore «è disposto a lasciarsi portare via la vita ma non la sua anima – ha concluso il vicario – perché custodisce il tesoro che ha tra le mani, certo che la propria vita è custodita come tesoro prezioso dalle mani stesse di Dio».

Situata nel cuore di Trastevere, San Francesco a Ripa Grande è la prima chiesa francescana di Roma, sorta nel luogo in cui c’era un ospizio dedicato a san Biagio nel quale Francesco soggiornò almeno sei volte quando venne a Roma in visita al Papa per discutere l’approvazione della sua regola. Nella chiesa sono custodite tre reliquie del poverello di Assisi: un pezzo di una benda insanguinata, un pezzo del cilicio e la roccia sulla quale poggiava il capo per riposare. Nell’antica cella in cui il santo alloggiava, l’attenzione viene rapita da un reliquiario mobile, un meccanismo costruito da fra’ Tommaso da Spoleto nel 1708, che apre le porte laterali della pala d’altare mostrando cofanetti contenenti le reliquie dei più grandi santi francescani.

22 giugno 2020