De Donatis: «La malattia ha il volto di ogni malato, anche di quelli che si sentono ignorati»

Al santuario del Divino Amore la celebrazione diocesana del malato. Il vescovo Ricciardi: «Segno di rinascita e di speranza in questo tempo segnato dalla pandemia di Covid-19». La testimonianza della giornalista Rai Isabella Di Chio: nella malattia, «imprescindibile punto di forza nella fede»

È stato il brano evangelico relativo al primo miracolo di Gesù a orientare la celebrazione diocesana del malato, che il cardinale vicario Angelo De Donatis ha presieduto sabato mattina, 22 maggio. Curata dall’Ufficio per la pastorale sanitaria, la Messa solenne ha avuto luogo nel santuario del Divino Amore, a Castel di Leva, quale «segno di rinascita e di speranza in questo tempo segnato dalla pandemia di Covid-19 – ha spiegato il vescovo Paolo Ricciardi, delegato diocesano per la pastorale sanitaria -, ed è anche un modo per ringraziare tutti coloro che sono stati al servizio dei malati».

A chi soffre e a chi di chi soffre si prende cura si è rivolto De Donatis commentando il racconto delle nozze di Cana, «dove Gesù ci dà il primo segno, trasformando l’acqua in vino e dicendoci che c’è una gioia secondo il mondo – il primo vino – e una gioia che viene da Dio, il vino migliore». Secondo la logica del mondo infatti «le esperienze belle prima o poi finiscono – ha continuato il porporato -, la salute viene meno e rischia di rendere insignificante la vita, oppure ciò che ci attrae e si crede un bene alla fine si rivela un male e ci rovina» ma «Dio interviene sempre, chiedendo anche la nostra collaborazione», e così fa Maria, «presenza discreta e sicura che fa notare al Figlio l’assenza del vino e con cuore e viscere di madre ascolta, osserva, coglie, spinge, accompagna e sostiene, si preoccupa di ogni situazione di sofferenza».

Quindi, il cardinale ha riconosciuto nei servi, che nel racconto di Cana si prodigano per riempire d’acqua le anfore poi colmate di vino da Gesù, «tutte quelle persone che, ancora oggi, continuano a contribuire affinché non manchi la gioia nella nostra vita, anche nella prova», rivolgendosi prima di tutto alle persone malate, perché «voi riempite queste anfore con la sofferenza e la testimonianza, con l’unione a Cristo e la pazienza dell’amore. I primi operatori della pastorale della salute siete voi e grazie alla vostra offerta le nostre comunità crescono nella fede e si uniscono ancor più al Signore crocifisso e risorto». In particolare, De Donatis ha osservato come «la malattia ha sempre un volto, e non uno solo: ha il volto di ogni malato e malata, anche di quelli che si sentono ignorati ed esclusi. Noi vogliamo riconoscere tutti questi volti» perché «c’è una malattia più grave di tutte: l’indifferenza».

Di seguito, il grazie del vicario del Papa è andato ai cappellani, ai sacerdoti, ai diaconi, alle religiose e ai ministri straordinari dell’Eucaristia così come a tutto il personale sanitario e ai volontari, perché anche se «in questo particolare periodo non vi è stato sempre possibile essere fisicamente presenti accanto ai malati, eravate lì, nella forza dell’intercessione e nella pazienza dell’ascolto, cercando tutti i modi per sostenere chi è nella malattia e testimoniando la volontà di continuare a formarvi per ripartire, con nuove vie di prossimità a chi soffre».

Guardando infine alla celebrazione di Pentecoste, «in questa attesa dello Spirito Santo, che in questo santuario invochiamo come il Divino Amore», De Donatis ha assicurato che «il Signore dice a ciascuno di noi: “Avrò cura di te!”» e che «Cristo è il medico delle anime e dei corpi e offre a tutti noi una terapia per la vera guarigione. Occorre mettersi in cammino, attraverso diversi passi, dietro ai suoi passi, con una rinnovata fiducia in lui e in noi stessi».

A precedere la celebrazione, la recita del Rosario e la testimonianza della giornalista Isabella Di Chio, dal 2019 affetta da un tumore. «Durante dei normali controlli di routine – ha raccontato la conduttrice del telegiornale regionale del Lazio di Rai 3 -, ho scoperto di essere malata e di colpo la mia vita è cambiata perché il mio cancro era particolarmente “cattivo” e richiedeva subito un’operazione». A seguire, «lunghi mesi di chemioterapia – sono ancora le parole di Di Chio – e dopo quasi un anno di cura il ritorno a condurre il telegiornale, con la mia prima parrucca». La giornalista, che lo scorso anno, «in piena pandemia», ha visto ripresentarsi la malattia, «dapprima regredita», ha trovato «nella fede e nelle figure di riferimento della mia formazione cristiana, come quella di Giovanni Paolo II, un imprescindibile punto di forza», così come nella preghiera, specie quella del Rosario, «pregato anche a Lourdes, davanti alla statua della Madonna dove ho sia accompagnato i malati, come dama volontaria, sia ringraziato e invocato per trovare la forza per la mia stessa guarigione».

24 maggio 2021