De Donatis: don Santoro «plasmato dalla Misericordia»

Nell’incontro al Maggiore il vescovo ha sottolineato la spiritualità sacerdotale del prete ucciso nel 2006 in Turchia. Tre “solchi”: Parola, Eucaristia e Chiesa

Nell’incontro al Seminario Maggiore il vescovo ha sottolineato la spiritualità sacerdotale del prete ucciso dieci anni fa in Turchia. Tre “solchi”: Parola, Eucaristia e Chiesa

Giovanni Battista, l’Apostolo Pietro e San Giuseppe: è attraverso queste tre figure che monsignor Angelo De Donatis, vescovo ausiliare di Roma incaricato della cura del clero, ha tracciato un profilo della spiritualità sacerdotale di don Andrea Santoro, ucciso nel 2006 a Trabzon, in Turchia, mentre era raccolto in preghiera. L’incontro di ieri, 1 febbraio, al Seminario Romano Maggiore, il luogo dove Santoro curò la sua formazione, è stato il primo degli appuntamenti in programma per la commemorazione dei 10 anni dalla sua morte, che coincide con l’Anno Santo della Misericordia indetto da Papa Francesco.

«Don Andrea si è fatto toccare, plasmare lentamente dalla misericordia di Dio – ha affermato monsignor De Donatis – e questo ci dà la possibilità di fermarci a riflettere su un percorso che è possibile, ed è accessibile per tutti noi. Quindi il Battista, san Pietro e san Giuseppe – ha detto il vescovo ausiliare di Roma – sono persone che come don Andrea, pur mossi da una grande fede, hanno attraversato la notte oscura ma hanno sempre scelto di tenere lo sguardo fisso su Gesù, misericordia del Padre. Il messaggio che ci ha lasciato don Andrea – ha aggiunto – è quello di non avere paura della tenerezza di Dio, di non temere che Dio ci chiami, che si faccia nostro prossimo, che ci tocchi, che ci curi e che ci guarisca».

Tre i “solchi”, così li ha definiti De Donatis durante l’incontro, che aiutano a comprendere un uomo, testimone di una fede caratterizzata da una vita intensa di relazioni per far risplendere il messaggio evangelico. Il primo è la parola: «Don Andrea, come il Battista – ha affermato il presule – ha preparato il cuore delle persone all’incontro con Dio. Conosceva benissimo l’efficacia della parola di Dio. E ha attinto molta forza dall’incontro con la Parola, tanto che la lectio divina ha rappresentato un punto fermo della sua quotidianità».

Il secondo “solco” è il rapporto di don Andrea con l’Eucarestia: «Un aspetto molto profondo della sua vita sacerdotale – ha evidenziato De Donatis –, e l’intera vita di un prete deve essere vissuta proprio come vita eucaristica». Infine, il “solco” del rapporto di don Andrea con la Chiesa: «Intesa non solo come istituzione ma anche come corpo di Cristo. Don Andrea ha cercato di vivere la sua paternità spirituale soprattutto verso i più deboli, non si tirava mai indietro dove era richiesta la sua presenza giorno e notte».

Ne sono testimonianza le sue parole, scritte nel maggio del 2000 in una lettera di saluto ai parrocchiani: «Dopo dieci anni di sacerdozio il Signore mi ha portato in Medio Oriente per un periodo di sei mesi, per un desiderio impellente che sentivo di silenzio, di preghiera, nei luoghi dove Gesù era passato». E poi: «Missione è esilio, missione è lasciare Gerusalemme per ritornarvi alla fine, missione è portare altrove la gloria di Dio. Missione è trapassare per un ritorno finale».

Queste ultime sono frasi del sacerdote romano tratte dal diario in cui raccolse impressioni e riflessioni del viaggio in Medio Oriente del 1980 cui sempre faceva riferimento quando gli veniva chiesto perché avesse scelto, nel 2000, di partire per la Turchia. A Trabzon si occupò molto degli ultimi adoperandosi soprattutto nel promuovere il dialogo tra le religioni, perché don Andrea era convinto che in quelle zone potessero ancora esservi segni visibili della presenza cristiana.

2 febbraio 2016