D’Avenia ai giovani: realizzare una verità da protagonisti

L’intervento dello scrittore al Campus Bio-medico che ha aperto la serie di appuntamenti su “La persona al centro” tra le storie dei suoi libri, i classici e i miti dell’Antica Grecia. E la sua “missione” di insegnante

Saper essere protagonisti del proprio tempo e artefici del proprio futuro per costruire un mondo migliore. È l’invito che lo scrittore Alessandro D’Avenia rivolge ai giovani nel primo incontro della serie “La persona al centro” organizzata dall’Università Campus Bio-medico. Palermitano, classe 1977, insegnante, sceneggiatore, editorialista, porta la propria esperienza agli studenti dell’ateneo passando dalle storie dei suoi libri per proporre qualche indicazione utile alla loro storia personale.

 D’Avenia racconta del suo primo lavoro, Bianca come il latte rosso come il sangue (Mondadori, 2010), romanzo – da cui è stato tratto anche un film – con oltre un milione di copie vendute e tante traduzioni all’estero. Pensando a una delle storie all’interno del libro, chiede agli universitari quale sia la loro missione. «Noi – afferma – ci siamo per realizzare una verità e porre un nuovo inizio. C’è qualcosa di incompiuto che richiede compimento. Ognuno di noi deve rispondere ad una chiamata. Non allontaniamola».

Il problema è fare i conti con la propria fragilità. D’Avenia ne parla prendendo spunto da un’altra sua opera, L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita. (Mondadori, 2016), dove immagina un dialogo tra se stesso e il poeta di Recanati: «La verità è la persona nella sua interezza. Noi siamo esseri mancanti, falliti perché non ci sentiamo mai abbastanza mai all’altezza; perché siamo fragili». La soluzione allora è insita nell’amore, e D’Avenia cita il filosofo Platone, convinto del fatto che non c’è eroe senza amore.

Amore per la vita e per il proprio lavoro. Ecco allora la “missione” del professore, che D’Avenia vive con passione, insegnando lettere in un liceo milanese, e curando un blog, Profduepuntozero, dove è scritto chiaro e tondo nella sua biografia per immagini che «ama la scuola». «Quanto è importante per un insegnante l’appello. Il nome di ogni studente è fondamentale, e ciascuno deve essere pronunciato come se fosse una liturgia», sottolinea riferendosi «all’importanza del singolo alunno che prima di tutto è una persona, un essere con una propria identità, una propria storia. Un nome è la prima grande verità, incontrovertibile». Rispetto per gli alunni che si hanno di fronte, quindi, e nello stesso tempo consapevolezza dell’importanza della propria professione. «Sono venuto qui oggi – prosegue lo scrittore – per illuminarvi. Come sosteneva Aristotele “gli uomini ascoltano gli altri uomini perché promettono senso”».

Con D’Avenia c’è spazio anche per i classici. Nella sua biografia confessa le passioni per Omero, Dante, Dostoevskij e McCarthy, con dei puntini, lasciando intendere che ce ne sono altre, e on potrebbe che essere così. «Tutte le narrazioni – afferma – sono una necessità e servono per affrontare i problemi. Nell’Iliade e nell’Odissea ci sono dentro manuali di sopravvivenza. Il destino diventa la destinazione e il protagonista deve compiere la sua narrazione». Quando c’è una persona c’è anche una storia e allora «il “c’era una volta” delle fiabe, ricollocato nel nostro presente, diventa una promessa di senso».

La conclusione è nel segno del mito, con una storia che D’Avenia ama particolarmente: il mito di Arianna. Cosa ci insegna? «Il segreto delle relazioni d’amore non è sostituirsi all’altro ma incoraggiarlo ad affrontare le battaglie. Basta tenere il filo. Il Minotauro rappresenta tutte le nostre paure, dobbiamo combatterlo. Noi tutti stiamo dentro un labirinto – conclude lo scrittore -, noi stiamo tenendo l’altro capo del filo e dall’altra parte c’è un’altra persona e questo ci consente di dire che nulla è andato sprecato, stiamo lottando e stiamo cercando una verità. Questo è quello che conta”. (Sil. Ci.)

23 novembre 2018