Dat, Mirabelli: «La morte non è un diritto costituzionale»

Il presidente emerito della Corte Costituzionale al convegno “La dignità del morire”: «Parlamento non legiferi su onda emotiva di singoli casi»

Il presidente emerito della Corte Costituzionale al convegno “La dignità del morire”: «Parlamento non legiferi su onda emotiva di singoli casi» 

Slitta ancora la discussione alla Camera dei Deputati sulle “Dichiarazioni anticipate di trattamento” (Dat). L’Aula avrebbe dovuto avviare la discussione finale martedì 21. Forse oggi si apriranno le dichiarazioni che dovrebbero portare alla votazione questo fine settimana. Dopo, il testo passerà al Senato. Nei giorni scorsi, la Camera aveva respinto le pregiudiziali di costituzionalità e le questioni sospensive contro la legge presentate da Udc, Idea e Lega. Non lo nega, il presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli: oltre a diverse incongruenze giuridiche, il testo delle Dat «introduce un diritto alla morte non contemplato dalla nostra Costituzione».

Il giurista è intervenuto martedì 21 al convegno organizzato dal nuovo centro culturale della XIX prefettura che riunisce 13 parrocchie dei quartieri Appio-Tuscolano, Appio-Latino e Arco di Travertino. Con lui, nel teatro della parrocchia San Giovanni Battista De Rossi, ha dialogato il preside di Medicina e Farmacia della Sapienza, Sebastiano Filetti che ha sottolineato come, anche dal punto di vista pratico, la legge faccia emergere seri problemi deontologici per i medici che dovranno applicarla. Punto di partenza dell’incontro sono state le parole, richiamate dal vescovo ausiliare del settore Est Giuseppe Marciante, del cardinale Bagnasco aprendo i lavori dell’ultimo consiglio permanente della Cei: «La legge sul fine vita è radicalmente individualistica, adatta a un individuo che si interpreta a prescindere dalle relazioni, padrone assoluto di una vita che non si è dato».

A poche settimane dalla tragica vicenda di Fabiano Antoniani – Dj Fabo, pare che il dibattito si sia fermato al singolo caso. Manca una visione d’insieme, per Mirabelli: «Troppe volte il Parlamento è chiamato a dare risposte sull’onda di emozioni davanti alle quali il diritto rischia di arretrare». Analizzando nello specifico il disegno di legge, il presidente emerito della Consulta ha contestato la «burocratizzazione di una materia per sua natura delicatissima. Sarebbe meglio una legge orientativa più che prescrittiva. Perché se è vero che tramite il consenso informato il paziente deve poter esprimere le sue preferenze, il medico deve poter valutare senza vincoli». La legge, invece, «trasformerebbe i dottori in meri esecutori delle volontà del malati».


Tutto ciò che stabiliscono le Dat
relativamente alle preferenze del paziente è già regolato dalla Convenzione sui diritti umani e la biomedicina di Oviedo. «Per usare un’iperbole, l’unica “novità” introdotta nel disegno di legge sarebbe la possibilità di sospendere idratazione e nutrizione del malato perché considerati “trattamenti sanitari”: il rischio – per Mirabelli – è quello di legittimare il suicidio assistito». Il professor Filetti ha messo subito in chiaro la questione dal punto di vista concettuale: «L’acqua è l’elemento costitutivo dell’uomo, non è una medicina, non è una terapia che posso decidere di sospendere».

È «ben altro l’accanimento terapeutico che molte volte, in situazione disperate, viene richiesto anche dalla famiglia del malato». Di fronte a situazioni del genere «è fondamentale la formazione che noi educatori forniamo ai futuri medici: ci sono dei limiti da rispettare che non possono prescindere da un rapporto dialogico» con il paziente e la sua famiglia. «Io insegno e pretendo fiducia nella scienza e nella vita. L’eutanasia è morte, è inaccettabile per la professione medica, noi la morte la combattiamo». Anche Filetti ha messo in guardia dal rischio di legiferare sulla «scia emotiva» di «casi limite», e parlando dj Fabo ha giudicato «degne di estremo rispetto le domande di senso di chi si trova in condizioni vegetative». A queste domande bisogna «sempre approcciarsi con misericordia e compassione; con quella pietà cristiana che ci spinge più a comprendere che a giudicare».


Sono proprio questi i “ferri del
mestiere” di don Carlo Abbate, assistente spirituale dell’hospice oncologico Villa Speranza che ha moderato il convegno: «Questa sera porto il grazie delle 5mila persone che in 10 anni ho accompagnato. Nessuno di loro ha mai chiesto di voler morire anche se la fine era già segnata». Ciò «vuol dire – ha detto il sacerdote – che quando il paziente è sostenuto e guidato, si sente al centro del nostro amore e la morte non ha mai l’ultima parola». È importante, da questo punto di vista, ha concluso il vescovo Lorenzo Leuzzi, incaricato diocesano della pastorale sanitaria, «riaprire la discussione nelle nostre parrocchie su temi – come quello dell’immortalità dell’anima – che abbiamo quasi abbandonato» a vantaggio di una società che, «credendosi immortale, calpesta l’identità dell’individuo pretendendo di regolare il suo nascere e il suo morire».

22 marzo 2017