«Dare un cuore a Roma»

Alla vigilia delle elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre, intervista al vicegerente della diocesi Gianpiero Palmieri. Dall'arcivescovo, l'invito a «garantire una città vivibile per tutti» e ad «evitare che la ripresa sia segnata dalla frantumazione del "noi solidale"» ritrovato nella pandemia

don gianpiero palmieri vescovoDare un cuore a Roma, avendo ben presente i cinque compiti di un sindaco indicati da Giorgio La Pira: pane, casa, lavoro, scuola, sanità per tutti. Il vicegerente della diocesi, l’arcivescovo Gianpiero Palmieri, le indica come priorità per la futura amministrazione che guiderà la città per i prossimi anni, dopo le elezioni del 3 e 4 ottobre, e fa appello a tutti i cittadini perché venga conservata la solidarietà maturata durante la pandemia e la crisi economica e sociale che ne è seguita. L’appello è rivolto in particolare ai cristiani, impegnati in questi anni ad ascoltare il “grido della città” in cui c’è anche la rabbia per i tanti problemi irrisolti di Roma.

Eccellenza, con quale spirito i romani sono chiamati a vivere le prossime elezioni, di fronte alle quali c’è il rischio di una disillusione rispetto alla politica e ai partiti?
Ascoltare con il cuore il grido della città, farsi ancora più vicini agli abitanti dei nostri quartieri, era l’obiettivo dei due anni appena trascorsi. Questo “bagno di realtà” voleva aiutarci ad alzare lo sguardo oltre il recinto delle nostre comunità parrocchiali, superando una certa autoreferenzialità. Il nostro sguardo si incrocia così con quello del Signore, che non ha mai smesso di guardare con amore e farsi presente nella vita di tutti i suoi figli. La crisi pandemica non ha fatto altro che smascherare ed esasperare quei mali che nella nostra società romana erano diffusi da tempo.

Quali sono i problemi principali della città?
Roma è una città con profonde disuguaglianze non solo economiche, ma anche di opportunità educative, culturali, lavorative, di servizi alla persona e alla vita sociale. Vivere in un quartiere o in un altro non è la stessa cosa: significa passare da standard da Paesi del Nord Europa a livelli da città del Sud del mondo. Negli ultimi 20 anni la grande maggioranza delle famiglie numerose si è trasferita nelle periferie oltre il Raccordo, in quartieri dove sono carenti persino i servizi essenziali. La mancanza di lavoro regolare ha favorito il sommerso e il circuito legato alla criminalità organizzata. Dal punto di vista economico, diversamente dalle altre Capitali europee, Roma non cresce, nonostante non manchi l’iniziativa imprenditoriale “dal basso”. Questi e tanti altri sono i problemi che accomunano gli abitanti di questa città. Vorrei ricordare ora una frase famosa di don Milani: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia». Ecco allora qualcosa che ci riguarda tutti e che chiede a noi cristiani di stare in prima linea: non perdere la memoria di ciò che abbiamo vissuto durante la pandemia, quello spirito di fraternità che ci ha spinto a cambiare le nostre abitudini più radicate per non contagiarci e contagiare (distanziarci, mettere la mascherina, igienizzarci continuamente) e continuare a lottare insieme per garantire una città vivibile per tutti. Questo è la politica, con la P maiuscola.

Qual è l’impegno per evitare di smarrire questo spirito?
Fino ad ora i romani hanno dato buona prova di sé: hanno accettato le regole anche se dure, hanno fatto crescere il circuito della solidarietà, si sono prodigati per proteggere gli anziani e le categorie più fragili. Ora dobbiamo evitare che la ripresa sia segnata dalla frantumazione di questo “noi solidale”: individualismi, particolarismi, lobby, speculazione, indifferenza verso i più poveri. Dobbiamo continuare a fare “Politica” e non farci prendere dall’avarizia. Non so se i candidati della competizione elettorale, e i partiti che li sostengono, sono del tutto consapevoli che la loro prima responsabilità è custodire la memoria e la pratica di questo “insieme”. Una “disillusione”, a questo livello, produrrebbe nel tessuto sociale romano dei danni enormi. C’è solo una cosa peggiore di questa crisi, ha detto Papa Francesco: sprecarla.

Quali sono le priorità che la Chiesa di Roma indica a chi si candida per guidare il futuro della città?
Ho già fatto riferimento a quello che credo sia il primo compito, curare la percezione e favorire la pratica di un “gioco di squadra” che coinvolga tutti, un gioco indispensabile “per sortirne insieme”. Dare un cuore a Roma, favorire l’identità collettiva, non è un’impresa impossibile: Roma è una città bellissima, con tanta storia, con immense potenzialità, con un respiro universale, con un Vescovo che ci ha consegnato un magistero sulla “città” ricco di fede (nella città la presenza di Dio va scoperta, non costruita da zero), di sinassi dove i temi ecologici, sociali ed economici sono ben connessi, di aperture e prospettive che non nascono da teorie di basso respiro (come quelle di una crescita economica che non ha bisogno di regole) ma dalla realtà di quello che abbiamo vissuto in questi anni. La Laudato si’ e la Fratelli tutti sono considerate “un faro” non solo dai credenti ma da tutti. Per il resto, ricordo i cinque compiti di un sindaco secondo Giorgio La Pira: assicurare a tutti pane, casa, lavoro, scuola, sanità. Queste sono le priorità per dare una base di vivibilità alla città e per garantire a tutti i diritti. Perché questo si realizzi e nessuno venga privato dell’indispensabile, bisogna che tutti facciamo politica e che i politici di professione credano al valore di questo “insieme”.

Roma è ricca di profonde contraddizioni ma anche di energie positive, di risorse forse non sufficientemente valorizzate, anche nelle periferie. Come sostenere queste forze vive che emergono dal basso?
Non credo che manchi la conoscenza del “come” favorire e sostenere le iniziative dal basso. Intanto molte realtà associative, comprese quelle di volontariato, si sono sempre più sostenute collaborando e confederandosi tra di loro, costruendo pazientemente reti e patti (penso ai patti educativi che hanno visto lavorare insieme nei quartieri scuole, parrocchie, associazioni). Credo che come Chiesa abbiamo il dovere di partecipare anche noi a queste reti, anzi, di promuoverle dove mancano. In troppi nostri quartieri succede che chi vuole fare qualcosa per il bene comune, laico e o credente che sia, si senta solo e impotente. Dobbiamo fare in modo che trovi nella comunità cristiana di quartiere – spesso l’unica realtà sociale che aggreghi un certo numero di persone – un alleato credibile e affidabile.

28 settembre 2021