Damiani, il tempo della “Rinascita”

Nell’ultima raccolta, il ricordo degli anni dell’infanzia – e dei frequenti ritorni in età adulta – nel cuore del Gargano, nelle case attigue alla miniera di bauxite che il padre dirigeva

Ho sempre avuto un debole per la poesia di Claudio Damiani, pur non avendo di fatto mai frequentato questo poeta nato a San Giovanni Rotondo nel 1957. Al tempo di Braci, la rivista romana sulla quale cominciò a pubblicare i suoi primi versi, all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, neppure lo conoscevo. Poi, dal momento in cui ho cominciato a leggerlo, me ne sono appassionato e adesso ogni volta che pubblica una raccolta non manco di leggerla.

Quest’ultima, intitolata Rinascita (Fazi), è un prosimetro, che nella prima parte comprende piccoli recuperi di testi precedenti, nel quale l’autore, ultimo di sei figli, rievoca la propria infanzia, e i frequenti ritorni in età adulta, nelle case del Gargano attigue alla miniera di bauxite dove il padre, nato nel 1902 all’Isola d’Elba, laureato in ingegneria al Politecnico di Torino, esercitava la funzione di direttore, dopo esserlo già stato in numerosi altri villaggi minerari sparsi per l’Italia, dal Bellunese a Enna, dalla Toscana alla Puglia.

Il contenuto tematico s’identifica nel bambino posto al centro della scena che, allergico al latte materno, quindi cresciuto con quello di mucca, gioca insieme agli amici vicino agli uffici, cammina sulla ghiaia sparsa intorno, osserva le galline dell’orto, studia le file delle formiche, transita accanto agli eucalipti e ai fichi d’India, s’innamora di Nadia prima di scoprire che Bianca lo è di lui, corre in bicicletta sulle vie adiacenti, supera le stalle coi cavalli che sembravano morti e invece erano vivi, va a vedere i girini nello stagno, accarezza la cagna di nome Tamara, tira con la fionda ai piccioni e ai verdoni, siede sui gradini trattenendo a stento la paura nei confronti delle farfalle notturne intrufolate negli interstizi.

Quando, tanti anni dopo, si ripresenta in quegli stessi luoghi, scopre che sono stati trasformati in agriturismo, frequentato soprattutto dai pellegrini di Padre Pio. All’inizio ci resta male, poi lo accetta e il suo sguardo s’intensifica. Parla con la casa in cui stava e gli animali che sono ancora lì e in sogno rispondono! Specie le farfalle, una rossa, l’altra nera, le quali rivelano di avere avuto anch’esse timore, per questo si nascondevano facendo finta di dormire.

Chi è allora il vero, autentico protagonista di questo piccolo e delizioso libro? Rispondono in coro le ultime tre poesie. Il tempo, “fratello invisibile” dell’aria e della luce, sulla strada aperta sotto il sole. Da dove arrivava? «Quel tempo lì scaturiva da un orifizio / (io lo chiamo così, ma in realtà erano infiniti / gli orifizi, e invisibili) / come scaturisce ogni tempo / e anche questo tempo, quello di questi istanti, / scaturisce nello stesso modo / ed è lo stesso tempo, / poi si spandeva come un liquido sulla terra piatta / mentre nello stesso istante altro ancora scaturiva / e io avevo dietro / quello che un istante prima era davanti».

2 aprile 2025