Dall’Italia una carovana solidale per Gaza

Operatori umanitari, parlamentari, giornalisti, accademici ed esperti di diritto internazionale si recheranno in Egitto dal 3 al 6 marzo, per raggiungere il valico di Rafah

Si metterà in moto dal 3 al 6 marzo la carovana solidale che partirà dall’Italia, diretta al valido di Rafah, tra l’Egitto e la Striscia di Gaza. Un’iniziativa promossa dalla Rete Aoi (Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale), nell’ambito della campagna #EmergenzaGaza, in collaborazione con Amnesty International Italia, Arci e Assopace Palestina. La delegazione – composta da operatori e operatrici umanitari, 16 parlamentari, 13 giornaliste e giornalisti, accademici ed esperti di diritto internazionale  – porterà, con gli aiuti, il suo appello per il cessate il fuoco immediato, perché riprenda l’azione diplomatica  internazionale, sotto la regia delle Nazioni Unite.

«L’assalto militare israeliano sta causando distruzione, pericolo, terrore e sofferenza tali da rendere impossibile per il sistema umanitario internazionale organizzare una risposta sicura per salvare vite umane – scrivono le realtà promotrici, che invitano il governo italiano ad agire perché il cessate il fuoco sia permanente e si fermi il massacro in atto -. Il governo e il Parlamento devono fare tutto ciò che è in loro potere per prevenire ulteriori offensive militari e creare un ambiente favorevole ai negoziati e al dialogo: in questo quadro va affrontata anche la questione del rilascio degli ostaggi israeliani. Deve essere garantita ai civili, coloro che pagano sempre il prezzo più alto nei conflitti, la protezione da minacce e violazioni del diritto umanitario internazionale».

La delegazione  incontrerà a Il Cairo organizzazioni della società civile, difensori dei diritti umani, agenzie Onu oltre alle rappresentanze diplomatiche italiane in loco. Successivamente si recherà ad Al Arish per seguire il percorso dei container di aiuti umanitari realizzati grazie alla raccolta fondi #EmergenzaGaza. Infine, raggiungerà il valico di Rafah per incontrare le organizzazioni umanitarie che si stanno spendendo per cercare di inviare aiuti essenziali dentro la Striscia. Tra queste, l’Unrwa, l’Agenzia Onu per il soccorso ai rifugiati palestinesi, oggetto in queste settimane di un gravissimo attacco che colpisce collettivamente quasi 6 milioni di rifugiati palestinesi a Gaza, in Cisgiordania, in Siria, Libano e Giordania, ma anche la Mezzaluna Rossa Egiziana e quella Palestinese, e l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha).

«Un mese dopo che la Corte internazionale di giustizia ha ordinato le sei misure cautelari, la situazione nella Striscia di Gaza non ha fatto altro che peggiorare – afferma Tina Marinari, di Amnesty International Italia -. La popolazione è ridotta alla fame e l’accesso agli aiuti umanitari continua ad essere bloccato da Israele. In quanto potenza occupante, secondo il diritto internazionale, Israele ha il chiaro obbligo di garantire le necessità di base della popolazione di Gaza. Il blocco israeliano è una forma di punizione collettiva e un crimine di guerra. Noi abbiamo bisogno di aprire gli occhi e mostrare al mondo tutti i crimini che si stanno compiendo di fronte all’immobilismo internazionale – prosegue -. Abbiamo bisogno che un cessate il fuoco immediato e permanente venga garantito al più presto in maniera unilaterale».

Ancora: «Noi crediamo sia necessario che arrivi alla popolazione di Gaza il segnale che c’è un’altra Italia, un’altra Europa, un altro Occidente, che crede nel diritto internazionale, che crede nella politica di giustizia, che si batte per una soluzione politica fondata sulla legalità internazionale – aggiunge Marinari -. Per dare un appiglio di speranza a chi soffre e sopravvive e muore chiedendosi perché nessuno faccia niente di fronte a un genocidio. L’ignavia di fronte all’oppressione produce danni immensi, di cui pagano i prezzi tutti. La comunità internazionale non ha mosso un dito, di fronte al tradimento del processo di pace, all’avanzata dell’occupazione, degli insediamenti, dell’apartheid negli ultimi trenta anni. Chi oggi guarda con paura ai processi di radicalizzazione, in Israele e in Palestina, deve sapere che sono figli di quella ignavia. Perché, quando la politica di giustizia non c’è, rimane solo la forza bruta. Bisogna rimettere in campo la politica».

29 febbraio 2024