Dall’Afghanistan il grido di pace di Malali Joya

L’attivista a Roma per un incontro sui diritti umani. «Non temo tanto la morte quanto i rischi del restare in silenzio davanti a tanta ingiustizia»

L’attivista a Roma per un incontro sui diritti umani. «Non temo tanto la morte quanto i rischi del restare in silenzio davanti a tanta ingiustizia»

Paladina dei diritti umani in Afghanistan, Malali Joya è arrivata a Roma ieri, lunedì 8 maggio, per prendere parte a un incontro organizzato dalla rete “In difesa Di – per i diritti umani e chi li difende”, che riunisce oltre 30 organizzazioni della società civile. Una denuncia forte, la sua, motivata dalla consapevolezza che «la democrazia, la giustizia e la pace non si possono garantire sganciando bombe. Lo slogan della guerra al terrorismo – ha affermato – non è che una menzogna usata dagli Usa e dalla Nato per portare avanti le proprie guerre e testare armi nel nostro Paese, come la cosiddetta “madre di tutte le bombe”, le bombe a grappolo, l’uranio, il fosforo, che massacrano e distruggono il nostro popolo e la nostra natura».

Malalai partecipò come delegata nel 2003 alla Grande Assemblea che doveva stilare la nuova Costituzione e denunciò gran parte dei presenti come responsabili di gravi crimini contro l’umanità. Fu espulsa dalla Camera bassa nel 2007 e da allora riceve minacce di morte ed è costretta a vivere nascosta sotto un burka, lontana dalla famiglia e dal figlio. «Non temo tanto la morte quanto i rischi che possono derivare da restare in silenzio di fronte a tanta ingiustizia – ha affermato -. Dicono che l’obiettivo è colpire l’Isis, in realtà vogliono solo testare armi nel nostro Paese, perché da noi esiste un regime fantoccio».

Nel suo discorso, l’attivista ha messo l’accento sulla grave condizione delle donne, la corruzione e l’impunità nel suo Paese; quindi ha fatto un appello anche a favore dei richiedenti asilo e rifugiati afghani: «Non lasciano il Paese per fare la bella vita in Europa. Fuggono dalle bombe e dagli attacchi kamikaze a Kabul. I governi occidentali, compreso quello italiano, hanno responsabilità in questo disastro perché hanno consentito alle forze radicali estremiste di prendere il potere nel Paese». Da ultimo, un avvertimento: «Ricordate che quando vengono espulsi dall’Europa e rimandati in Afghanistan trovano davanti a loro solo due strade: la tossicodipendenza o l’Isis o altre forze estremiste, che li arruolano pagandoli 600 euro al mese. I governi europei dovrebbero invece tutelare chi chiede asilo perché altrimenti non fa altro che aumentare il potere dei terroristi».

9 maggio 2017