Dalla normalità silenziosa dei ragazzi, un mondo più bello di quello di cui siamo capaci

Nella quotidianità della vita scolastica, tra programmazione di gite e confidenze, la semplicità e l’umanità “rispondono” al triste e stonato canto della paura e dell’inciviltà

Ieri mattina, a scuola, è capitato un episodio che devo raccontare. Terza ora, mancano una decina di minuti al suono della campanella, interrompo la lezione perché devo concordare con gli alunni del mio quarto anno una decisione importante. Dall’inizio dell’anno sto svolgendo un percorso monografico su Giacomo Leopardi, condiviso con gli altri docenti di Italiano e che prevede una visita primaverile a Recanati di tutte le classi quarte dell’istituto. Essendo io il titolare del progetto, giunto il momento di decidere la data dell’uscita, decido di interpellare anche i miei alunni per potere prenotare ed evitare possibili sovrapposizioni: «Allora ragazzi, per quanto riguarda Recanati è arrivato il momento di fissare la data. Non ricordo tutti i vostri impegni con le altre attività, non ricordo nemmeno quando ci sarà il vostro stage linguistico, io comunque penserei di andarci a fine aprile».

A quel punto alza la mano un mio alunno seduto sulla fila di banchi alla mia sinistra che, a dispetto dell’estrema vitalità che gli è propria, questa volta è quasi intimidito: «Io vorrei sapere però quando, perché a fine aprile forse non posso». «Ah – gli domando io – vai via con i tuoi?». Lui mi guarda e poi, cercando conferma nella compagna proprio dietro di lui, mi risponde: «No, è che ci sarà il ramadan». «Ma certo – rispondo – scusami ma non me ne sono ricordato, sai quando inizia?». Il ragazzo, sempre voltandosi verso la compagna, musulmana come lui, mi dice: «Credo inizi il 23, ma dovrei controllare». «Ci mancherebbe – gli dico – state comunque tranquilli, andremo sicuramente prima del 23 aprile».

Mentre scorro il calendario sull’agenda, sulla fila opposta alla mia destra, una ragazza chiede sottovoce alla compagna: «Ma quanto dura?». E l’altra: «Ma che domanda è? Ignorante, un mese». «Ah, certo, che stupida, ma certo che a Recanati bisogna andarci prima del 23», le risponde la prima, sempre sottovoce. Io alzo gli occhi, non trattengo un sorriso che mi rendo conto essere colto da gran parte della classe. Ma già gli alunni sono tornati alle loro cose, ai loro libri, ai loro telefoni che puntuali rispuntano fuori, agli avanzi del panino mezzo mangiato a ricreazione. Io mi godo gli ultimi minuti prima della campanella e poi esco dalla classe.

Ecco, mi dico, è ricapitato di nuovo. Tre anni fa avevo raccontato un episodio più o meno analogo. Oggi, ancora più di allora, mi ritrovo di fronte a questa semplicità, a questa umanità. La grazia di questi ragazzi, il miracolo della loro normalità silenziosa che nell’incontro quotidiano sta costruendo un mondo anni luce più bello di quello che vorremmo fare franare loro addosso. Avrei voglia di tirare fuori il telefono, mettermi a scorrere le pagine dei quotidiani, i profili social di chi insiste nel triste e stonato canto della paura e dell’inciviltà, ridere di tanta stitica rinuncia al futuro. Ma lascio stare, c’è questo corridoio, c’è questo cortile pieno di ragazze e ragazzi. Andremo tutti a Recanati prima del 23 aprile e come ogni anno sarà bellissimo.

19 febbraio 2020