Dalla guerra alla scuola: l’accoglienza in classe degli alunni ucraini

Nell’IC Santa Marinella ne hanno accolti già 8, a Cerveteri 3, al Guicciardini 3. Altri stanno per arrivare. Primo inserimento anche nel liceo Newton. Tanto è affidato all’iniziativa personale

Tanti sono arrivati, altri ancora arriveranno: la paura si legge negli occhi di alcuni, altri sembrano sereni. La lingua è l’ultimo dei problemi, bastano poche settimane per impararla. La solidarietà non manca, lo spazio a volte sì. E non mancano i problemi inaspettati, come l’incontro in classe tra due bimbe ucraine, di cui una filorussa. Sono solo alcune delle istantanee scattate all’interno di alcune scuole del Lazio, che in questi giorni stanno aprendo le proprie porte ai nuovi alunni in fuga dall’Ucraina. Istantanee che abbiamo raccolto dalla voce di tre dirigenti scolastiche: Velia Ceccarelli, alla guida dell’Istituto comprensivo Salvo D’Acquisto a Cerveteri e dell’Istituto comprensivo Santa Marinella; Simona Di Matteo, dell’Ic Guicciardini; Cristina Costarelli, dirigente del Liceo Scientifico Newton di Roma e presidente dell’Associazione presidi del Lazio.

Velia Ceccarelli dirige due istituti comprensivi, con strutture, risorse e situazioni differenti. «A Santa Marinella possiamo contare su tanto spazio e una buona intesa con l’ente locale, che anche in questa circostanza ha messo in moto una bella macchina e abbiamo finora accolto otto bambini ucraini. A Cerveteri, invece, abbiamo il problema dagli spazi: in sede di iscrizioni, ho dovuto rigettare circa 50 domande, perché abbiamo le classi piene, quindi abbiamo potuto accogliere solo tre alunni ucraini, mentre ho indirizzato gli altri in scuole limitrofe. Le richieste che ci arrivano sono molte – spiega – perché in zona ci sono diversi istituti religiosi che stanno accogliendo decine di mamme con bambini fuggiti dall’Ucraina. Appena arrivano, li inseriamo a scuola: il primo giorno consegniamo loro un kit con zainetto, quaderno e materiale scolastico, per farli sentire benvenuti. Cerchiamo di fare tutto il possibile perché si sentano ben accolti, anche se gli incidenti possono sempre accadere: pensavamo di fare una scelta giusta, inserendo una bambina ucraina in una classe frequentata da una sua connazionale, che vive qui da anni, la quale però, abbiamo scoperto, è filorussa, quindi abbiamo avuto qualche problema, che abbiamo però risolto. Intanto – aggiunge -, abbiamo messo in campo corsi di Italiano per L2, anche se la lingua non è un problema: sappiamo bene che i bambini imparano per immersione, frequentando la scuola tante ore al giorno, in un paio di settimane l’avranno appresa. Anche per questo, abbiamo inserito i bambini nelle classi corrispondenti alla loro età, anche quando i genitori chiedevano di inserirli in classi inferiori, per facilitarli. Abbiamo anche attivato un servizio psicologico dedicato, sebbene i fondi del ministero non ci siano ancora arrivati. Due o tre bambini tra quelli arrivati in questi giorni sono molto provati. Uno quasi non parla, un’altra si nasconde sotto il banco quando sente un rumore forte. Mettiamo in campo tutte le nostre risorse per sostenerli, tra cui la solidarietà delle famiglie: alcune stanno invitando già questi bambini a casa, a volte a cena insieme alle mamme». L’impatto insomma «è buono, mi pare che stiamo reagendo bene a questa nuova sfida. Una sfida che ci arriva, mentre ancora siamo alle prese con la pandemia, ma che sinceramente trovo più stimolante di quella: questa sfida ci intristisce ma, come ho detto ai docenti, questa “buona invasione” è anche una preziosa opportunità, perché ci costringe ad aprire le porte e a modificare il nostro modo di fare scuola, mettendo in moto didattiche diverse, sviluppando anche discipline trasversali e linguaggi universali come l’educazione motoria, il disegno, la matematica, la musica. Dobbiamo cogliere questa opportunità, per dare il meglio a questi bambini e arricchire la nostra pedagogia. Una nota critica però l’avrei: perché non abbiamo riservato la stesa attenzione e destinato le stesse risorse all’arrivo e l’inserimento di tanti bambini e ragazzi provenienti da contesti simili, seppur più lontani? Nelle nostre scuole ne abbiamo diversi, ma l’investimento nella loro accoglienza non è stato lo stesso».

«Abbiamo inserito fino ad oggi tre bambini ucraini, due in quarta e uno in prima. Sono arrivati con le mamme, mentre i padri sono rimasti lì. Sono ospiti di un centro di residenza che ora si occupa di accoglienza, non lontano dalla nostra scuola: è stata la cooperativa sociale che li ospita a contattarmi per chiedere se potevano essere inseriti». Racconta così Simona Di Matteo, dirigente dell’IC Guicciardini, nel quartiere multietnico dell’Esquilino. «Questa scuola non è nuova all’accoglienza di alunni stranieri, siamo in un quartiere multiculturale, abituato a questi flussi. È vero che lo stanziamento delle risorse e l’investimento in termini di attenzione è stato tempestivo e particolarmente forte nel caso della crisi ucraina rispetto, per esempio, a quanto è stato fatto per l’arrivo dei bambini afgani, ma è anche vero che, in generale, la normativa scolastica oggi è molto più accogliente che in passato, quando era facile che questi bambini si perdessero per strada. E va anche detto che la comunità ucraina è qui particolarmente diffusa e vicina, basti pensare che in consiglio di Istituto c’è una mamma di origine ucraina». Per questo, «la sfida di questi arrivi ci stimola particolarmente, mentre abbiamo ancora a che fare con la sfida, non conclusa, della pandemia. Abbiamo le classi piene, ma non possiamo venir meno all’accoglienza scolastica, che è accoglienza umanitaria. La priorità è portarli a condizioni minime di normalità quotidiana, quindi li inseriamo immediatamente dopo il loro arrivo, dando anche la possibilità di partecipare a progetti extra scolastici, come i percorsi di alfabetizzazione L2 per bambini stranieri. Trattandosi di bambini piccoli, non abbiamo ritenuto necessario attivare un supporto psicologico, perché sappiamo che in questa fascia di età il sostegno passa per altri codici: la vita comunitaria, le attività in gruppo, l’inserimento in situazioni concrete, in cui sentire il calore dei pari. Hanno avuto un’accoglienza colorata, calorosa, la scuola è tutta umanamente coinvolta. Al loro arrivo – racconta -, vengono accolti in cortile, o comunque in spazi più ampi della classe, attraverso attività ludiche, e accompagnati in giro per la scuola, a conoscere le varie persone e figure. Vengono inseriti in una classe, ma sono accolti da tutta la comunità e anche dalle famiglie, che hanno attivato con prontezza una rete volenterosa di accoglienza e supporto, anche tramite la condivisione di informazioni pratiche. Prevediamo che nei prossimi giorni arriveranno altri bambini e ci faremo trovare pronti. Ieri mi è arrivata una mail di una riga da un indirizzo cirillico, mi si chiedeva di poter accogliere una bambina. Ma ho verificato che si trova molto lontano dalla nostra scuola, quindi ho indicato altre scuole più vicine. Questo è segno di quanto siano disorientate queste famiglie e di quanto sia importante fare rete perché circolino informazioni e risorse. A livello istituzionale, come scuole abbiamo ricevuto una prima nota il 4 marzo dal capo dipartimento, con le prime indicazioni e risorse, mentre ieri ci è arrivata una seconda nota dall’Usr del Lazio nota, in cui si ribadisce che devono essere verificati la registrazione in prefettura e le vaccinazioni». Ma è soprattutto a livello informale che le risorse arrivano e circolano: «Per esempio, la mamma di uno dei bambini arrivati in questi giorni, Iulia, aveva vissuto a lungo in Italia e quindi conosce perfettamente la lingua. Ora che è tornata, dopo 10 anni, per motivi così diversi, può diventare una risorse importante: con la cooperativa, la stiamo coinvolgendo nella mediazione con le altre mamme e questo potrebbe diventare presto il suo lavoro». D’altra parete, dal punto di vista didattico «per i nostri alunni questa è una grande ricchezza e questi arrivi li colpiscono molto a livello emotivo, perché da settimane lavorano sul tema della guerra in Ucraina. Per esempio, la classe che ha accolto l’ultimo bambino arrivato aveva partecipato giorni prima a un flash-mob a piazza Vittorio: avere un esito concreto è per loro emozionante, come fosse la concretizzazione di una storia che non è astratta ma che arriva nelle loro e nelle nostre vite, trasformandole. I bambini fanno a gara nell’accogliere e sostenere questi nuovi compagni, siamo noi che dobbiamo gestire al meglio questa situazione, per responsabilizzarli ma senza appesantirli ed esporli eccessivamente».

Poco distante dall’IC Guicciardini, sempre in un contesto multiculturale e trasversale, a pochi passi dalla stazione Termini, c’è il Liceo scientifico Newton, dove oggi è arrivato il primo ragazzo in fuga dall’Ucraina. «Si è presentato martedì con la mamma per informarsi e oggi è stato il suo primo giorno – racconta la dirigente, Cristina Costarelli, che è anche presidente dell’Anp Lazio -. Non parla italiano né inglese, formalmente non è prevista la presenza di un mediatore linguistico. Per fortuna, tramite la scuola Perry Wilton di Eraldo Affinati, ho avuto contatto di una persona ucraina che vive in Italia da più di 10 anni e che si è resa disponibile, a titolo volontario, come mediatore per questo ragazzo. Con gli altri studenti, avevamo preparato l’accoglienza, una borsa con i quaderni e il materiale, il cartello con scritto “Benvenuto” in ucraino, sulla porta della classe. Ma trovare questa persona che parlava la sua lingua è stata la più bella sorpresa per lui, gli si sono illuminati gli occhi. Ci ha detto, tramite questo mediatore, che i suoi compagni sono tutti in diverse città d’Europa, ognuno ha trovato il modo per fuggire. Lui e la mamma sono qui perché c’è una zia che li ha accolti in casa sua». La figura dei mediatori è fondamentale, almeno inizialmente, per creare un rapporto tra i ragazzi che arrivano e le scuole che li accolgono: «Ora avremo anche un’altra mediatrice, grazie a un centro di formazione professionale per mediatori che ci ha proposto i tirocinanti che si stanno specializzando in ucraino. Certo, di nuovo sono le scuole a doversi organizzare, per far fronte a questa nuova sfida. Devo dire che, al di là dell’apprezzabile stanziamento ministeriale, a livello istituzionale e organizzativo si potrebbe fare molto di più e ci saremmo aspettati, da parte dell’ente locale, una ricognizione e indicazioni su associazioni e risorse utili. Finora, questo è mancato e ci stiamo organizzando, ciascuno con le proprie idee e le proprie conoscenze». (Chiara Ludovisi)

25 marzo 2022