Da Roma a Milano in filo diretto

Febbraio 1980, il saluto di Carlo Maria Martini alla diocesi dopo la nomina ad arcivescovo di Milano

Carlo Martini, già Rettore Magnifico dell’Università Gregoriana ed ora scelto dal Santo Padre nuovo Arcivescovo di Milano, era anche una delle figure più prestigiose del consiglio Presbiterale di Roma. Perciò nell’antivigilia della sua partenza per Milano, lunedì 4 febbraio scorso, ha voluto dare il suo saluto il Cardinale Vicario, al Collegio Episcopale, come pure ai membri riuniti in consiglio nel salone del Pontificio Seminario Romano Maggiore.

Il saluto del Cardinale Vicario

Il Cardinale Poletti ha rivolto al neo-Presule di Milano parole di congratulazione e di augurio, a nome suo e di tutto il Consiglio: prima di tutto per la stima dovuta alla sua persona di studio e di cultura; poi per l’apertura dimostrata verso istanze pastorali della Chiesa: ciò che lo hanno reso tanto caro al Sommo Pontefice da ritenerlo degno di una così grande responsabilità qual’è il governo della prima e più popolosa diocesi d’Italia; quindi per l’apporto generoso e qualificato alla Chiesa di Roma come membro diocesano e come apostolo nelle borgate romane.

«Noi ci auguriamo – diceva il Cardinale Vicario – che questi contatti con la diocesi di Roma – attraverso il Consiglio Presbiterale, attraverso il suo alto incarico di Rettore, prima dell’Istituto Biblico poi dell’università Gregoriana; attraverso lo zelo sacerdotale che lo spingeva a recarsi ogni domenica nelle borgate di Roma ad esercitare il ministero tra la povera gente – mi auguro che queste esperienze le siano di grande utilità come apertura al suo più grande ministero pastorale, che sta per prendere l’avvio nell’Arcidiocesi di Milano. Che il Signore gli doni, continuava il Cardinale Poletti, un cuore di Padre, come è detto nell’antifona di  S. Carlo Borromeo: dedit ei Dominus latitudinem cordis: che il Signore gli dia un cuore di Padre, per amare i suoi sacerdoti; una grande pazienza per sapere ascoltare; un grande equilibrio, una grande equità per compiere la missione propria del padre, che per il bene dei figli è pronto, talvolta, a rinunciare all’ottimo per accontentarsi del bene; che sa apprezzare l’impulso generoso dei figli più ricchi e più vivaci e contemperare questa vivacità al beneficio di quanti sono meno dotati e camminano con maggiore fatica. Questa è la caratteristica del Vescovo. Sarà veramente Pastore, guida, maestro, se saprà essere padre; ma per essere padre si deve anche molto amare; e non si può molto amare senza anche molto soffrire, nel profondo del cuore. È sempre un soffrire con gioia, anche se a costo della vita».

«Tanti auguri, Eccellenza», terminava il Cardinale Vicario. «E quando ritorna a Roma, si ricordi che questa è sempre la sua città, è sempre la sua Chiesa. Se Roma è per tutti quelli che vengono a visitarla la Chiesa Madre, la Chiesa prima del mondo che tutti accoglie attorno alla Sede di Pietro e al Padre comune, lo sarà particolarmente per Lei che vi ha formato e donato il cuore».

Il discorso di P. Carlo Martini

E Monsignor Martini diede il suo commiato al Consiglio Presbiterale romano con queste parole: «Ringrazio di cuore, Vostra Eminenza, e gli Ecc.mi Vescovi e tutti voi per questa occasione che mi date in un brevissimo saluto e di un ringraziamento per le parole così belle e incoraggianti e anche con un po’ di ammonizione, di previsione di qualche difficoltà, dettemi da Sua Eminenza. Sono molto contento di portarvi questo saluto, perché riflettevo proprio in questi giorni, che di circa 27-28 anni di sacerdozio, più di venti li ho passati a Roma. Quindi, in pratica, sono molto legato a questa città, come attività sacerdotale».

«Mi ricordo ancora gli inizi del 1954, quando andavo alla parrocchia di S. Leone a dire la prima Messa della domenica: partivo alle 5.15 da Termini, col primo tram e poi alle sei la Messa e poi le confessioni. Da allora ho avuto, pur senza poter fare molto perché sempre preso dagli impegni di studio, tanti contatti con ogni tipo di realtà: con parrocchie, gruppi di sacerdoti, gruppi di giovani, gruppi di impegno cristiano. Giustamente è stato detto dalla stampa che io non ho esperienza pastorale. è vero, ma se un pochina ne ho, la devo a Roma, l’ho acquistata qui. Sono riconoscente, quindi, di tutto cuore a questa Chiesa ed in particolare molto a Sua Eminenza, perché io lo incontravo spesso quando mi trovavo in una borgata: dovunque mi recavo per incontrare i vari gruppi, la incontravo sempre il Cardinale Poletti. Sentivo questo incoraggiamento della sua presenza in tante situazioni di periferia, di emarginazione. E questo mi ha certamente molto aiutato, incoraggiato. Lo sento in me come qualcosa di permanente; un qualcosa di vivo che porto dentro di me.

«Anche il fatto di essere membro del Consiglio presbiterale mi ha dato un certo senso di famiglia con la Chiesa di Roma. Ho detto anche pochi giorni fa, alla Gregoriana, lasciando gli studenti: uno dei miei desideri che avevo appena incominciato a mettere in pratica era la ricerca di una maggiore inserzione nella realtà romana. Era stata una delle cose che più mi aveva preoccupato nei vari contatti avuti con gli studenti, i gruppi, e nelle loro varie situazioni romane. Mi sembrava, ho detto loro, mi sembrava strano che questi studenti potessero passare per Roma come sotto il tunnel della metropolitana: senza vedere niente di quel che c’era intorno; e uscire dopo cinque anni con il loro fardello di conoscenza ma senza una sensibilità per la realtà della città di Roma, che al momento, per quanto capisco, è una delle più vive tra le realtà diocesane, con il suo pullulare di iniziative, di persone, di gruppi, di fermenti. Almeno questa è la mia impressione, Mentre, quando sono arrivato nel 1954, Roma aveva la fama di una città religiosamente piatta, senza particolari movimenti, gradualmente è diventata una delle città più ricche, come creatività, come vitalità, scoprendo, magari scavando qui o là, sotto le pietre, la presenza di sconosciute situazioni. Questo certamente a me è piaciuto moltissimo e mi ha dato molto: per cui porto con me un grandissimo ricordo che mi legherà per sempre a questa città.

«Come dicevo ad un gruppo di giovani, giorni fa – e termino con questa immagine – sono tre le città che porto nel cuore: la prima città, evidentemente è la città fondamentale, quella che non finisce mai e quella che è nel cuore prima di tutto e che è Gerusalemme; la Gerusalemme che tutti stiamo costruendo; quando Roma passerà, Milano Passerà, Gerusalemme non passerà; è la città che noi come pietre vive stiamo costruendo per sempre. Questo è il popolo di Dio a cui apparteniamo; Gerusalemme resta come simbolo di questa realtà. Una città, perciò, nella quale anche fisicamente avrei voluto lavorare e viverci proprio per sottolineare questo legame di universalità.

«Dopo Gerusalemme, evidentemente Roma, dove ho passato gli anni del mio sacerdozio e dove la missione di Roma di essere strumento, segno, funzione unificatrice dell’umanità è palese, da tutti accettata ed è da Cristo stesso voluta; è un legame che dovunque vada non potrò dimenticare. Ogni nostro riferimento, come diceva Sant’Ambrogio, è sempre a Roma, perché tutto quello che dice, a Roma, il Pontefice romano, è per noi fondamentale. «Adesso, nella mia dedizione al Corpo di Cristo che è la Chiesa, si aggiunge un particolare fedeltà, che porto segnata, qui, con l’anello al dito, alla Chiesa di Milano, alla quale vedo attribuite anche – come ho detto in altra occasione – funzioni unificatrici importanti, storiche, cioè non legate teoricamente, come avviene per Roma, ad un assoluto «dover essere», ma legata alla buona volontà della gente. Milano, ebbe una sua funzione storica unificatrice fra Oriente e Occidente, in quanto i grandi fermenti spirituali, mistici dell’oriente – Origene, Gregorio Nazianzeno e Nesseno, Basilio – son passati in Occidente attraverso Ambrogio: è diventata così luogo di fusione tra la spiritualità occidentale e mondo mistico orientale. E questa missione rimane ancora, come sapete, evidente in Milano, nella liturgia propria, nella lunga salmodia, nella stessa struttura dei canti, che ricordano la spiritualità dell’Oriente. A questa funzione antica si è aggiunta poi, nei secoli la funzione nuova, moderna, di collegamento tra Nord e Sud: il Nord dell’Europa industriale, ricca di fermenti evangelizzanti e il Sud più pieno di cordialità, di affetto, di espansione, di senso della vita: anche più umano.

«Milano rappresenta un po’ questa fusione: perciò ha avuto nella storia e ha ancora, una sua funzione unificatrice, che dobbiamo cercare di portare avanti. Ma non è soltanto guardando i problemi locali – per quanto grandi possano essere – ma è guardando al di là, che ci sentiamo cristiani. Ci domandiamo: che cosa facciamo noi nella Chiesa, per la Chiesa? Siamo capaci di essere per il mondo, e non solo per l’Italia, ma anche per il mondo, come Roma, forza unificatrice al servizio dell’uomo? Questi sono alcuni sentimenti che io sento nel partire per recarmi a Milano, dopo un ritiro di tre o quattro giorni a Rho. Affido a voi questi sentimenti, pensieri, desideri, timori, speranze. Grazie perciò di questo vostro augurio». (Elio Venier)

10 febbraio 1980